Zazie: la rivoluzione no-global oggi si fa col frullatore
La nuova rivoluzione bolognese (imprenditoriale, salutistica e culinaria) si chiama Zazie ed è stata innescata da Marina Pagliuzza, Giovanni Marco (“Gianmarco”) De Pieri e Roberto Cipriano. Un “network” – guai a parlare di franchising o catena – di negozi e botteghe, già saliti a 12 in tutta Italia in soli 7 anni, a colpi di spremute di agrumi, frullati, smooothies (bevande di frutta), succhi, insalate di frutta, centrifugati di verdure, ma pure le care vecchie zuppe. Un menù a base di fresco & digeribile che in origine doveva essere venduto in strada e aveva la forma di un carretto per spremere gli agrumi, ma in Italia “la vendita di cibo in strada è contrastata. A Bologna non si può nel centro storico, vicino allo stadio e in tanti altri luoghi. Impossibile. L’idea del punto mobile con piccolo motore elettrico si è arenata”, spiegano Marina e Gianmarco, noto in città come attivista dei centri sociali della sinistra radicale.
Evaporato il sogno on the road nelle nebbie della burocrazia italiana, Marina e Gianmarco “ripiegano”, con successo, sul punto vendita fisso “dove consumare frutta e verdura fresca”. Dalla piazza con i movimenti no-global e le occupazioni con i centri sociali, la battaglia si sposta a liberare i lavoratori con 30 minuti di pausa pranzo dal “paninazzo” scaldato al microonde. Quindi giù di zuppe senza soffritti, senza dado, senza insaporitori: solo verdura, cotta al vapore, qualche erbetta, un po’ di sale e olio. E frutta a gogò.
Un bel salto dai lavori precedenti: “Nel 2009 – spiega Marina – io ho chiuso con una multinazionale del tabacco, Gianmarco con una informatica. Abbiamo un percorso comune di impegno sociale e politico. Ci siamo incontrati dopo Genova (la mobilitazione contro il G8, NdR), con un retroterra comune”. Imprenditori no-global, politica che si riflette nell’impresa economica: “Siamo molto attenti al rispetto delle norme sul lavoro, alla filiera dei prodotti e chiediamo ai nostri partner l’adesione ad un’ etica fiscale stretta: zero pagamenti in nero“. Un altro pianeta rispetto alle contestazioni anni ’70… Basti dire che la società che gestice Zazie si chiama Rightness Srl (correttezza, in inglese) e ha sede legale in Via Indipendenza. E’già un manifesto!
E sulla sostenibilità ambientale?” Spingiamo, anche i nostri partner, verso prodotti biologici, da lotta integrata, stagionali, a Km. zero. Abbiamo fornitori che rispondono a queste caratteristiche, ma non usiamo celle frigorifere e facciamo la spesa due volte la settimana. Un gran consumo di frutta e verdura e per questo abbiamo un fornitore di fiducia al Caab, il mercato ortofrutticolo di Bologna. Evitiamo tanta frutta esotica, ma per scelta abbiamo le banane“. “Per i latticini – spiega Marina – ci riforniamo, invece, solo da un produttore locale: Le mucche di Guglielmo di cui abbiamo fiducia per i suoi metodi di allevamento rispettosi dell’ambiente. Poi abbiamo creato un nostro marchio di miele, prodotto da da Albertto Negrini e Lorenzo Lucchi, che hanno aperto a Ferrara un punto Zazie. Siamo molto orgogliosi anche di vendere dei favi: miele non raffinato, molto vergine, non toccato da mano umana“. L’estremismo non si scorda mai.
Partiti dalla frutta la società si è allargata ai piatti con un’offerta “molto attenta alle scelte vegane e vegetariane e alle intolleranze – continua Marina – Abbiamo ideato una serie di altri piatti a base di orzo e di farro, ci siamo inventati la polenta rosa con rapa rossa, i passatelli di patata. Poi tortini e hamburger vegani. In questo modo siamo riusciti a conquistare una fascia di persone molto ampia”.
Sulle pratiche di sostenibilità si lavora non solo sul lato cibo e non mancano le attività di informazione e di “cultura alternativa”. “Per l’arredamento cerchiamo di applicare i concetti di riciclo e riuso. Come i due pentoloni che a Bologna sono diventati lavandini, il bancone costruito con vecchie porte che conservano tutte le imperfezioni, il pavimento con piastrelle trovate in Sardegna. Nel locale di Genova la porta è quella di una vecchia officina. Ma naturalmente per le zone destinate a laboratorio ci dobbiamo adeguare alle norme”.
Gian Basilio Nieddu