WildLeaks: la prima piattaforma per denunciare i crimini contro la fauna
Secondo il Wwf, l’anno scorso in Africa sono stati uccisi più di mille rinoceronti. I loro corni sono un ingrediente ambito per la medicina tradizionale cinese e uno status symbol per la classe media asiatica. Gli elefanti, denuncia l’UNEP, dal 2010 vengono uccisi ad un ritmo addirittura superiore a quello della loro riproduzione per alimentare la crescente domanda dell’Asia, dove l’avorio è considerato un bene di lusso, mentre dal 1990 ad oggi la popolazione delle tigri ha subito un calo del 95%: le loro ossa e pelli sono molto richieste nella medicina cinese e per diversi rituali. Una strage silenziosa che va avanti da molto tempo, e che negli ultimi decenni ha visto in campo per fermarla molte risorse, con pochi risultati.
“I ranger armati girano per l’Africa da tempo, ma la situazione non è cambiata. Sono anni che si rincorrono i piccoli bracconieri, ma finché non si interviene ai livelli più alti, su chi gestisce i traffici di avorio, corna di rinoceronte, legname tagliato illegalmente e animali vivi, non si risolve niente. Per cambiare qualcosa, servono nuovi approcci”, spiega Andrea Crosta, esperto di conservazione e sicurezza internazionale e fondatore di WildLeaks. Il progetto, che fa capo all’organizzazione no profit americana Elephant Action League, anch’essa creata da Crosta, è la prima piattaforma on line per denunciare, in modo anonimo e sicuro, crimini contro la fauna selvatica. Alle segnalazioni segue un lavoro di verifica e indagine da parte di un team altamente specializzato, anche in collaborazione con altre associazioni ambientaliste operanti in ambiti specifici o con le autorità e le forze di polizia.
Se il nome rimanda subito a WikiLeaks, lo scopo del progetto in realtà è totalmente diverso da quello di Julian Assange: “Non siamo alla ricerca di segreti di stato e non condividiamo nulla sul nostro sito. L’obiettivo di WildLeaks è prevenire un crimine o, se questo non è possibile, facilitare l’identificazione, l’arresto e il processo degli individui responsabili dei così detti wildlife crimes”. Senza esporre a pericoli di nessun tipo chi trova il coraggio di parlare: “Le informazioni e i documenti inviati attraverso la nostra piattaforma sono sempre criptati, così che l’identità di chi fa la segnalazione non appare neanche al team del progetto. Abbiamo voluto creare un ponte tra chi sa qualcosa e chi può fare qualcosa. Ci sono molte persone che hanno informazioni su questi illeciti, ma che per varie ragioni non le condividono: i traffici di solito sono gestiti da criminali abbastanza pericolosi, con la connivenza della polizia e forti protezioni politiche, e anche i giornalisti in certi Paesi non possono scrivere più di tanto”.
La piattaforma è stata lanciata a febbraio scorso, e la prima leak è arrivata a 24 ore dall’apertura. “Era molto interessante: riguardava il traffico illecito di un prodotto di orgine animale dall’Africa agli Stati Uniti, attraverso normali pacchi postali. La segnalazione conteneva i profili Facebook, eBay e gli account email delle persone apparentemente coinvolte nella vicenda. Richiedendo indagini che da soli non potevamo svolgere, abbiamo condiviso la segnalazione con lo US Fish & Wildlife Service, l’equivalente del nostro Ministero dell’Ambiente, che si sta occupando del caso”. A questa denuncia ne sono seguite molte altre: “Ce ne arrivano tre o quattro alla settimana, di cui una o due interessanti. Provengono molto da Asia e Africa, ma anche dagli USA. Siamo venuti a conoscenza per esempio di casi di bracconaggio dei lupi in alcuni stati americani, pesca illegale al largo delle coste dell’Alaska, casi di disboscamento illegale in Siberia, Malawi e Messico”. Dall’Italia, per adesso sono arrivate segnalazioni difficili da approfondire: “Abbiamo bisogno di nomi e indicazioni su eventi circostanziati per procedere con le nostre investigazioni. Siamo molto interessati a casi di importazione illegale di legname, di pelli o animali vivi, oppure a episodi di bracconaggio sui lupi”. In tutti i casi, dietro ai crimini c’è la corruzione, “suolo fertile su cui nasce qualunque tipo di erbaccia”.
La parte più difficile, poi, è quella delle indagini, che possono impiegare mesi e addirittura anche anni: “Un lavoro molto simile a quello del giornalista investigativo e dell’investigatore privato. Abbiamo già avviato tre indagini sul traffico illegale di avorio, due in Africa e una a Hong Kong, e condiviso segnalazioni con l’Iterpol e le autorità statunitensi. Collaboriamo anche con molte associazioni ambientaliste: abbiamo una partnership con Panthera, la principale organizzazione no profit per la protezione dei felini, e stiamo chiudendo un accordo con la principale associazione ambientalista finlandese, che ha un programma specifico contro il bracconaggio dei mammiferi predatori”.
Accanto all’interesse delle Ong, c’è anche quello delle istituzioni: “Abbiamo riempito uno spazio vuoto. Tutte le forze di polizia hanno un numero verde a cui chiamare, ma le persone hanno paura e spesso se non hanno garanzie precise di anonimato decidono di tenere l’informazione per sé. Le istituzioni all’inizio erano un po’ sospettose nei nostri confronti, pensavano fossimo come WikiLeaks. Quando poi hanno capito come funzionava il progetto, abbiamo iniziato a ricevere mail da parte di persone delle forze dell’ordine di diverse parti del mondo che ci chiedevano di collaborare”.
Mentre WildLeaks si avvia a festeggiare un anno di attività, sta anche partecipando, insieme ad altre organizzazioni no profit, alla nascita di un altro progetto, il Wildlife Justice Committee, che partirà alla fine del 2014. “L’idea è venuta a Pauline Verheij, avvocato ambientalista membro anche del team di WildLeaks. Il WJC nasce sulla falsariga del Tribunale per i Crimini contro l’Umanità de L’Aja, anche se non ha un mandato internazionale. L’obiettivo è fare pressione direttamente sui governi per l’arresto di individui risultati colpevoli sulla base di ricerche e indagini. Se i governi non agiscono, l’organizzazione diffonderà allora le storie sui grandi media internazionali”.
Veronica Ulivieri