Una vista spaziale. Il panorama di Umberto Guidoni
Chissà quante volte li ha raccontati, Umberto Guidoni, quei 27 giorni, 15 ore e 12 minuti che ha trascorso nello spazio. Anche se ha appeso la tuta al chiodo e il mitico Space Shuttle è andato in pensione, non smette di emozionarsi, quando narra le sensazioni incredibili, vissute durante le due missioni in orbita, per conto della Nasa. E’ stato lui, astronauta e astrofisico nato a Roma nel 1954, il primo europeo a visitare la Stazione Spaziale Internazionale. Da allora, non fa che rivelare a tutti la sua dichiarazione d’amore, l’affetto grandissimo che lo lega alla Terra. Il “pianeta fragile”, che anche da lassù mostra le tracce più devastanti della presenza dell’uomo. Per chi volesse sentire questo affascinante racconto dalla sua voce, Guidoni sarà ospite, la sera di domenica 20 novembre, al Museo delle Scienze Regionali di Torino, del festival “Per sentieri e remiganti”, dedicato quest’anno ai temi dell’ecologia.
D) Guidoni, ci tolga subito la curiosità: com’è il Globo visto da 400 chilometri di distanza?
R) Di una bellezza che lascia a bocca aperta. Ho una stretta al cuore tutte le volte che ci penso. E’ una grande sfera azzurra (perché prevale indubbiamente il colore degli oceani), completamente isolata in un mare nero di cui non si vedono i confini. Non c’è dubbio che me ne sono innamorato molti anni fa. L’ho ammirata e fotografata da una prospettiva diversa, unica, ne ho visto le fragilità. Si torna da esperienze del genere con un maggiore istinto di protezione per la Terra. Sembra impossibile che le vogliamo così male.
D) Non ci dica che anche dal cielo si vedono i segnali di un pianeta inquinato…
R) Sì. Si percepiscono molti dei suoi punti deboli: gli incendi, i disboscamenti, ma anche la cappa di smog. E’ incredibile a dirsi, ma è proprio così. Ci sono zone, per esempio sopra la Cina, sormontate da una cupola giallastra, che si fa fatica a distinguere dalle nuvole, ma con un’attenta osservazione si impara a riconoscere. Torniamo a casa nostra: la Pianura Padana. E’ coperta da una nebbiolina, sempre del medesimo colore tendente al giallo. Ancora, dallo spazio ti rendi conto di quanto siano profonde le deforestazioni dell’Africa centrale e delle zone equatoriali.
D) Ribaltando la prospettiva, le luci delle città di notte devono acquistare un fascino incredibile, persi nel buio dello spazio. Non è vero?
R) E’ corretto. Per paradosso, sono l’unica indicazione della presenza dell’uomo. La lontananza cancella, sfuma tutto in un tondo bellissimo, che sembra incontaminato, a parte le indicazioni di distruzione dell’ambiente che dicevo prima. Spariscono i porti, gli aeroporti, le costruzioni. In orbita bassa, come si dice in gergo, io non ho però avuto la possibilità di vedere la sfera tutta intera, come l’Apollo che è andato sulla Luna. Noi facevamo in 90 minuti il giro completo della Terra (per 16 volte in un giorno), passavamo in 45 dal giorno alla notte, e i contrasi erano fortissimi tra la sola natura e l’illuminazione a macchia di leopardo. Le luci di Roma e Napoli parevano toccarsi, così come un unicum di sfavillii univa tutta la costa adriatica, dalla Puglia a Venezia. E questo la dice lunga sul nostro consumo spropositato di energia elettrica in Italia.
D) Una volta tornato, lei ha deciso di tradurre questo attaccamento verso la Terra in un impegno politico. Perché?
R) C’è bisogno di parlare ai giovani dei rischi a cui va incontro il sistema. Un viaggio fuori dal pianeta ti rende per forza più attento alle questioni ambientali, da un punto di vista globale. Chi pensa di risolvere i problemi rinchiudendosi nella politica del proprio paese, non ha capito nulla. I disastri sono interconnessi, si svolgono nell’arco dell’orbita, non hanno un inizio e una fine precisi. Le politiche mondiali hanno il compito di trovare questo equilibrio comune per la sopravvivenza, ma non ci stanno riuscendo.
D) Lei dunque non crede nei grandi vertici internazionali sull’ambiente?
R) Partiamo da un’esempio concreto: le tecnologie spaziali. In orbita sopravviviamo in una navicella in perfetta economia di tutto, riciclando ogni cosa. Ed eravamo in 7. Guardiamo sotto: perché non dovrebbe essere lo stesso per i 7 miliardi che vivono sulla Terra? Certo, è tutto molto più complicato, ma sappiamo bene che le risorse sono finite. Il buon senso direbbe di allentare moltissimo la nostra presenza su questo pianeta. Si parla sempre di debito economico, quanto mai in questi giorni in Italia, con il nuovo Governo. Mi piacerebbe che a livello internazionale si iniziasse a ragionare anche sul debito ambientale. Ogni anno è peggio. Nel 2011, abbiamo consumato le risorse che poi si rinnovano a giugno, ora stiamo intaccando quelle esauribili. Ma i vertici mondiali, in verità, sono vetrine in cui non si decide nulla. Si risolvono sempre con l’accordo più comodo, con il minimo comun denominatore della situazione attuale.
D) Ci vorrebbero repubbliche con a capo gli astronauti – o i filosofi, come diceva Platone – che hanno una visione più ampia!
R) Sarebbe un bel sogno! Io cerco di fare la mia parte. Mi dedico alla divulgazione con i ragazzi. I giovani hanno il futuro davanti, hanno tempo e diritto a decidere come dev’essere questo mondo. E’ difficile e doloroso, dal punto di vista morale, accettare che le generazioni più vecchie abbiano scaricato i danni irreparabili verso chi non ha avuto modo di scegliere. Confido nel loro entusiasmo, perché la situazione, a poco a poco, cambi.
D) Qual è il suo paradiso terrestre?
R) C’è solo l’imbarazzo della scelta: le isole dell’Oceano Indiano, Maldive, Hawaii. Ma il luogo che ho fotografato di più, e a cui rivolgevo gli sguardi più teneri era ovviamente l’Italia, il posto del cuore”.
Letizia Tortello