Un nuovo piano e 10 azioni per lo sviluppo rurale UE. Ma quel che serve è cambiare ancora la PAC
Era il 1996 quando alla conferenza di Cork l’Unione Europea prese atto che nel Vecchio Continente l’80 % delle terre è rurale e ospita il 25 % della popolazione. Alla luce di questa evidenza, l’agricoltura, la presenza dell’uomo, la gestione delle risorse e quella del territorio richiedevano dunque una gestione differente.
20 anni dopo, sempre a Cork, l’UE, aumentata numericamente e posta davanti a sfide sempre più complesse, si è riunita per discutere nuovamente di sviluppo rurale e lanciare un nuovo manifesto politico.
Se, infatti, la versione degli anni Novanta è ancora attuale nei suoi tratti essenziali, si sono aperti nuovi fronti, come la lotta ai cambiamenti climatici o la diffusione della banda larga come elemento chiave per tenere legate al progresso le campagne. A cui si aggiunge l’equità nella filiera alimentare. Questi i punti cardine della nuova dichiarazione.
Il primo fenomeno analizzato è stata l’emorragia di agricoltori. Che non si è affatto arrestata. Anzi, piano piano sono diminuite le aziende agricole acuendo la difficoltà d’ingresso di giovani imprenditori.
Il meeting ha poi portato alla stesura di 10 nuove priorità politiche per il futuro dello sviluppo rurale: promuovere la prosperità rurale; rafforzare le filiere rurali di valore; investire nella vitalità e mantenimento delle zone rurali; preservare l’ambiente rurale; gestire le risorse naturali; incoraggiare l’azione per il clima; incentivare la conoscenza e l’innovazione; migliorare la governance rurale; favorire la semplificazione e la trasparenza; migliorare la politica di performance e di risultato.
Grande spazio per il dibattito attorno al punto 6: incoraggiare l’azione per il clima. Data l’urgente necessità di affrontare la sfida del clima nelle zone rurali, così come nelle aree urbane, il sostegno deve essere mirato alla realizzazione di efficaci strategie di mitigazione e adattamento. Non vi è ampio margine per il sequestro e stoccaggio del carbonio nelle zone rurali. L’azione deve andare al di là di soluzioni basate sul carbonio e dovrebbe promuovere una gestione sana del bestiame anche in termini nutrizionali. Gli agricoltori e gli imprenditori forestali dovrebbero essere incoraggiati a fornire servizi di conservazione del clima e a impegnarsi in sforzi di adattamento ai cambiamenti climatici. Il potenziale delle aree rurali per la produzione di energia rinnovabile sostenibile, così come di biomateriali, dovrebbe essere sviluppato attraverso organi di investimento adeguati. La priorità dovrebbe essere data allo sviluppo ulteriore dell’economia circolare, così come, a cascata, dell’utilizzo dei biomateriali.
Tuttavia, le nuove proposte del Commissario UE all’Agricoltura Phil Hogan per rivitalizzare le aree rurali e promuovere un’agricoltura sostenibile rischiano di essere del tutto inutili se non si cambia radicalmente la struttura della PAC (Politica Agricola Comune). Buona parte dei sussidi mantiene, infatti, gli agricoltori in un modello fallimentare di agricoltura. Poco attenta alla natura e scarsamente sostenibile la PAC minaccia, inoltre, la salute dei cittadini e spinge gli agricoltori fuori dal mercato.
A questo proposito il Ministro dell’Agricoltura francese Stéphane Le Foll ha lanciato la proposta di aggiungere dopo il Primo (Aiuti diretti agli agricoltori) e il Secondo (Sviluppo rurale), un Terzo pilastro alla PAC dopo il 2020 per sostenere il reddito dei produttori nei periodi di volatilità del mercato.
Alla presenza di 21 ministri agricoli, che sono stati invitati a Chambord, nella Valle della Loira, per discutere del futuro della PAC dopo l’uscita del Regno Unito dalla UE, accanto all’idea lanciata da Le Foll è stata avanzata anche la possibilità di rivedere in futuro le percentuali di cofinanziamento da parte degli Stati Membri o delle Regioni e degli agricoltori. Spesso, infatti, l’obbligatorietà del cofinanziamento – quindi con una spesa in compartecipazione anche del singolo agricoltore – impedisce la presentazione di una domanda e, dunque, dell’utilizzo dei fondi comunitari per lo Sviluppo rurale.
Per il momento la Direzione Generale Agricoltura della Commissione UE non ha commentato, ma quel che è certo è che i Paesi stanno già pensando a soluzioni per la prossima (ennesima) riforma.
Beatrice Credi