Città intelligenti a Cernobbio: sono proprio tutti “smart” quei parametri?
Mentre cresce l’attesa sui risultati dell’ammissione, per i primi 17 progetti esecutivi delle regioni con obiettivo convergenza (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), al finanziamento della linea Smart Cities & Communities (200,7 milioni di euro) del MIUR, il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, sul tema smart city si continua a fare ricerca.
Ultimo in ordine di tempo il rapporto “Smart Cities in Italia: un’opportunità nello spirito del Rinascimento per una nuova qualità della vita” promosso dal gruppo ABB e presentato, nei giorni scorsi, nella prestigiosa cornice di Villa d’Este a Cernobbio nell’ambito della 38° edizione del Forum The European House – Ambrosetti.
Due le tesi principali prospettate nella corposa ricerca. La prima è che il concetto di smart city non è ancora univoco, lasciando così ampio spazio ad interpretazioni e significati diversi da quelli che già sono stati più o meno codificati. La seconda – esplicitata nell’introduzione dell’amministratore delegato di ABB Italia, Barbara Frei – è che appare necessario dare «un’impronta tutta Italiana a questo cammino che tenga conto delle identità culturali, delle dimensioni, delle vocazioni e delle caratteristiche peculiari delle nostre città».
Il modello dominante che viene proposto come Smart City vede la tecnologia e l’innovazione come fattori abilitanti e necessari per costruire l’infrastruttura, ma punta l’attenzione – secondo la tendenza più attuale – sui servizi che si appoggiano a questa rete infrastrutturale materiale. La ricerca si spinge addirittura oltre: Smart City diventa «un modello urbano che minimizza lo sforzo per i bisogni “bassi” e soddisfa efficacemente i bisogni più “alti”» e, ancora, una «occasione per “reinventare” il territorio italiano recuperando un’idea forte di futuro, pur senza dimenticare il passato».
La sensazione che si ha, leggendo il report, è che si cerchi di allargare oltremodo il campo di azione del contenitore “Smart City”, caricandolo di significati più politici, quasi filosofici – magari anche condivisibili – che tecnico-operativi, ispirando suggestioni che, soprattutto nel nostro Paese, hanno compromesso più di un’iniziativa. Già troppe volte si è detto infatti: questo sì, ma in realtà serve altro.
La ricerca lancia quindi sette proposte utili ad impostare un piano di sviluppo delle smart cities. Alcune di queste concrete e condivisibili, mentre di altre si fatica a trovare una spiegazione, come per esempio la necessità di «definire una visione del Paese e una strategia per realizzarla, riaffermando il ruolo di indirizzo del Governo»: anche limitandone il significato al tema in oggetto, andrebbe reso più evidente il collegamento con la Cabina di Regia per l’Agenda Digitale Italiana, istituita proprio quest’anno, della quale la ricerca sposa (pur senza dirlo esplicitamente) l’interpretazione ampia e omnicomprensiva data al concetto di Smart City.
Viene poi proposto il lancio di una versione italiana del modello europeo di partenariato per l’innovazione: e qui ci si chiede perché, in un contesto che spinge sempre più verso una stretta integrazione europea, politica, economica e fiscale, si vuole costruire una versione italiana di un qualcosa già (con un certo comune sforzo) codificato.
Interessanti, anche se possono sembrare dettate più dal buon senso che da finalità strategiche, le promozioni di soluzione smart già esistenti e a basso costo. A nostro avviso questa pare la proposta maggiormente condivisibile. Le soluzioni avanzate, infatti, non si discostano troppo da quanto già definito dalla Commissione Europea all’interno del SET Plan: mobilità ed efficienza energetica. Soluzioni per le quali l’Europa ha anche stanziato cospicui fondi, con iniziative nazionali già ben avviate, come testimoniano i già citati 200 milioni dei bandi del MIUR.
All’interno della ricerca viene poi presentata una classifica delle città più smart d’Italia, che utilizza alcuni indicatori di performance, anzi di smartness, raggruppati in 3 temi principali: gestione della mobilità, gestione delle risorse e qualità della vita cittadina.
Sorprende un po’, francamente, vedere al primo posto la città di Milano, che molto sta facendo in questa direzione ma che è, oggettivamente, agli inizi del percorso, e ancor di più vedere Roma al secondo posto. Anche in virtù del fatto che gli indicatori di cui sopra, nel dettaglio, richiamano tra gli altri, piste ciclabili, politiche energetiche, raccolta differenziata dei rifiuti o indice di velocità negli uffici pubblici; tutti temi dei quali molto si parla sui giornali – ma raramente come casi di successo. Saranno forse stati il «Tempo minimo per raggiungere un hub intercontinentale» o il «numero di destinazioni da aeroporto» a contribuire in modo più significativo al punteggio…
In conclusione, e più in generale, il dubbio che resta è se sia oggi davvero utile, per la crescita delle Smart Cities, continuare a ragionare su contorni definitori e nuove (sovra)strutture e non piuttosto concentrarsi su azioni e iniziative “facilmente” realizzabili, seguendo le indicazioni della Commissione Europea, con il SET Plan e le Smart Cities & Communities Initiatives, e, ancora, del MIUR e della sua strategia operativa esplicitata con i bandi appena assegnati. In fondo essere smart vuol anche dire valorizzare quanto già si ha.
Giacomo Selmi e Antonio Sileo