Canoni idroelettrici e tasse ambientali, una bagarre tra produttori e Regioni
Su gentile concessione dell’editore e dell’autore ripubblichiamo l’articolo di Alessandro de Carli, ingegnere e ricercatore CERTeT – Università Bocconi e SEP Consulting, apparso sulla Staffetta Quotidiana del 29 gennaio scorso.
Negli ultimi mesi la bagarre sui canoni di concessione per l’idroelettrico si è intensificata. A ottobre 2015 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno accolto il ricorso di Enel Produzione ed Enel Green Power, con il quale si contestava la decisione del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche dell’aprile 2013 di dichiarare inammissibile il reclamo contro il raddoppio del canone regionale annuo per l’uso a fini idroelettrici dell’acqua pubblica deciso dalla Regione Piemonte (nel 2011). La decisione della Cassazione, da un lato, implica che la questione dovrà essere riesaminata dal Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, dall’altro, può costituire un importante precedente anche per altre possibili cause. Sempre sul filone del contenzioso (e dell’incertezza) va ricordato che a fine dicembre, il Consiglio dei Ministri ha impugnato l’articolo 1, comma 2, lettera b) della legge della Regione Abruzzo n. 36/2015, per aver modificato la parametrizzazione del canone, passando da potenza nominale a potenza efficiente, con l’effetto di un sensibile aumento del gettito fiscale. La Regione Abruzzo, con un successivo provvedimento, non ha ripristinato la norma precedente basata sulla potenza nominale ma ha posticipato l’applicazione della nuova al 2017. Certo dunque l’intervento della Corte Costituzionale.
Andando ad analizzare l’evoluzione temporale dei canoni di concessione per uso idroelettrico nell’ultimo decennio si nota che, prima del 2008, l’aumento dei canoni era pressoché indicizzato all’inflazione. Successivamente, alcune Regioni (in primis Veneto, successivamente Piemonte, Molise e Lombardia) hanno raddoppiato il canone da un anno con l’altro, passando da valori compresi tra 12 e 15 euro/kW a valori superiori a 30 euro/kW. Tali aumenti non trovano giustificazione se non nella necessità delle amministrazioni regionali di far quadrare i bilanci sempre più spesso messi in crisi dai tagli dei trasferimenti statali. Per completezza di informazione sul tema, bisogna ricordare che, gli operatori idroelettrici sono soggetti ad ulteriori canoni. La Legge Galli (L. 36/1994) aveva inoltre previsto la possibilità per le Regioni di applicare un’addizionale fino al 10% dell’ammontare dei canoni. Inoltre, i produttori idroelettrici sono tenuti a pagare anche il canone ai bacini imbriferi montani (BIM) e quello agli enti rivieraschi, istituiti rispettivamente con la L. 959/1953 e il R.D. 1775/1933. Questi ultimi oggi pesano in totale, su tutto il territorio nazionale, 39 euro/ kW per gli impianti di potenza superiore a 3.000 kW di potenza nominale.
La finalità dei canoni è quella di distribuire parte della rendita economica generata dall’uso di una risorsa scarsa (l’acqua) ai territori in cui scorre l’acqua. In economia, la rendita è un extraprofitto, in altre parole, un saldo positivo che rimane dopo aver ripagato tutti i costi, compreso il costo del capitale. La dimensione della rendita sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà la quantità di energia venduta e quanto più ampia la differenza tra costi di produzione e prezzo di vendita.
Un recente aggiornamento del progetto IDEA che aveva effettuato l’analisi della rendita del grande idroelettrico (impianti superiori a 10 MW) della provincia di Sondrio per il periodo 2004-2011, ha messo in evidenza che l’effetto combinato dell’aumento della tassazione (sia canoni che IMU) e della contrazione dei prezzi dell’energia elettrica abbiano dimezzato la rendita netta a favore del produttore. Il valore medio della rendita netta nel periodo 2004-2011 risulta essere compresa tra 31-52 euro/MWh, in funzione del valore di vendita dell’energia in borsa elettrica (PUN medio o PUN di picco). A seguito del raddoppio del canone di concessione in Lombardia (nel 2012) il valore della rendita netta per il periodo 2012-2014 risulta essere pari a 17-22 euro/MWh.
Il problema insito nella rendita è la sua allocazione, cioè chi dovrebbe goderne i benefici. È un problema essenzialmente politico, l’economia può solo quantificare la rendita e suggerire metodi redistributivi che non alterino l’utilizzo ottimale della risorsa. Il diritto di godimento della rendita è un argomento complesso, soprattutto quando si tratta di rendite derivanti dallo sfruttamento di risorse naturali perché nella maggior parte dei paesi, Italia inclusa, le risorse naturali sono di proprietà dello Stato che ne concede, normalmente, lo sfruttamento ai privati. La ripartizione della rendita fra Stato (proprietario della risorsa) e privato (che ne rende possibile la valorizzazione economica) dipenderà dagli obiettivi politici.
Ritornando all’attualità, una delle motivazioni del Governo nell’impugnazione della legge regionale abruzzese è quella che tale norma ha l’effetto di “alterare le condizioni concorrenziali sul territorio nazionale, discriminando gli operatori idroelettrici insediati in Abruzzo e quindi violando l’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione”. Lascio al Giudice delle leggi la pronuncia sulla concorrenza, tuttavia credo che meriti spazio la discussione sulla capacità dei canoni di internalizzare il costo ambientale generato dalla produzione idroelettrica, secondo il principio comunitario del diritto comunitario di “chi inquina/usa, paga”.
Infatti, la Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE), che trova fondamento proprio nei principi di prevenzione, di non deterioramento e di “chi inquina paga”, ha imposto agli Stati membri di istituire distretti idrografici nei quali vi sia un controllo dell’impatto ambientale delle attività umane e l’applicazione di misure volte a impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali e sotterranei. Tra gli strumenti suggeriti dalla Direttiva Quadro Acque ci sono quelli economici. Sia il Ministero dell’Ambiente, con il Regolamento recante i criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d’impiego dell’acqua (DM 24 febbraio 2015, n. 39), sia l’Aeegsi, nella delibera 662/2014/R/IDR, hanno indicato il canone di concessione idrica come lo strumento economico per l’internalizzazione del costo ambientale generato dall’uso delle risorse idriche.
Concludendo, forse è il caso di avviare una discussione sulla riforma dei canoni per l’uso delle risorse idriche per la produzione di energia idroelettrica, che permetta da un lato di redistribuire la reale rendita (funzione della produzione e non della potenza nominale) tra i soggetti coinvolti (Stato, territori, produttori) e dall’altro permetta l’internalizzazione dei costi ambientali basata su un approccio scientifico che definisca una relazione tra azione ed impatto, come suggerito in questo articolo di Pontoni. Forse, anche con l’obiettivo di una maggiore condivisione, c’è da augurarsi che il tema dei canoni venga inserito nella discussione della sempre attesa riforma della tassazione ambientale italiana.
Alessandro de Carli