Sulla Sila, alla scoperta delle rare e stupefacenti sequoie del Sud
Proseguono i racconti della serie “Giona degli Alberi“, scritti in esclusiva per Greenews.info da Tiziano Fratus, il cercatore di alberi in viaggio alla ricerca degli alberi monumentali italiani. La nona puntata, terza parte di un reportage sui grandi alberi della Sila, in Calabria, è dedicata alle sequoie di Aprigliano. L’editore Kowalski ha intanto pubblicato l’ultimo libro di Fratus, il “Manuale del perfetto cercatore d’alberi”, una guida pratica e “filosofica” per tutti coloro che vogliono coltivare quella tensione alla ricerca della natura che alberga in ciascuno di noi.
Dopo aver visto in una manciata di ore la Sila innevata, il sole, la pioggia, il vento, aver assaggiato le gustose ricette a base di patata silana, aver incontrato i pini larici di Fallistro e di altri boschi vetusti, il grande castagno di San Francesco (da Paola), raggiungo la sede del parco, dove incontro il direttore, Michele Laudati, un uomo, come si dice, “come quelli di una volta”, gentile ma dal polso fermo ogni qual volta serva.
E gestire un parco così grande in un territorio per anni ostile o indifferente richiede carattere e determinazione, passione e capacità. I suoi precedenti incarichi supportano la credibilità di cui gode, essendo stato direttore generale dell’Azienda Forestale della Calabria dal ’98 al 2005, nonché dirigente del Dipartimento Agricoltura e Foreste per la Regione Calabria. Insomma una vita lavorativa e non soltanto spesa per valorizzare il patrimonio naturalistico e forestale dei questo lembo estremo d’Italia. E’ grazie a lui, ad esempio, che sono stati realizzati il centro visita del Cupone, dove è stata restaurata la falegnameria storica e dove è stato realizzato il museo che ho visitato. Ed è grazie alle sue competenze e alle sue esperienze che qui fra Ente parco e Forestali esiste piena e fattiva collaborazione. Ora però è arrivato il giorno di visita agli alberi che mi hanno richiamato dal mio profondo nord, come le Sirene che tentavano Ulisse: le sequoie di Aprigliano.
Nei libri che custodisco, dedicati ai grandi alberi d’Italia, compaiono le sequoie soltanto nel libro del Cagnoni, pubblicato dalla De Agostini, Grandi alberi d’Italia: due sequoie della specie gigante di 25 e 30 metri di altezza, accanto ad un abete greco monumentale. La distribuzione di sequoie secolari nel sud Italia è ben ridotta rispetto a quanto ho incontrato nelle regioni del nord e centro-nord. Qui sono più rare e le uniche concentrazioni – gli americani li chiamerebbero “groves” – si trovano in Sardegna, sul Monte Limbara che sovrasta la città di Tempio Pausania, sull’altipiano di Vallicciola, dove sono state messe a dimora nel 1934 e appunto qui ad Aprigliano. Altre sequoie sparse dovrebbero essere presenti nel parco di Villa Piercy, a di Baddesàlighes, nel comune di Bolotana in provincia di Nuoro, piantata negli anni Ottanta dell’Ottocento – ma mi mancano conferme al riguardo, giovani esemplari sulle Madonie, in Sicilia, mentre alcune sono ben descritte dal curatore del Museo di Storia Naturale del Vulture, Renato Spicciarelli, che in un documento rintracciabile su internet si è dedicato alle sequoie della Basilicata: esemplari della specie “gigante” nei comuni di Ripacandida, Melfi e Campomaggiore Vecchio, una sempervirens nel parco di Palazzo Corrado a Lagonegro.
Sotto la neve che cade imperturbabile in questa fine inverno reiterato arrivo all’ingresso della Foresta di Lardone, comune di Aprigliano. L’ingresso non è libero a tutti ma sono accompagnato da un gentilissimo Forestale. Si transita vicino alle reti che delimitano una zona di ripopolamento di animali un tempo selvatici, poi si apre un viale a castagni, davvero curioso, con un paio di esemplari notevoli. Quindi un edificio rettangolare, appena restaurato, e al fondo gli alberi che sto cercando. La nebbia è bassa e rende l’atmosfera suggestiva. E avvicina l’ambiente di queste “Alpi” fuori posto a quello naturale, d’origine delle sequoie, che però le valli e le foreste della Sierra Nevada non le hanno mai toccate.
Altezza superiore ai 30 metri, folte chiome abbondanti, tronchi possenti. Ramificazioni ampie, i due tronchi colossali e rossastri, e a terra una quantità di grossi coni, ne ho raccolti in tutta Italia e di solito arrivano ai 6-7 centimetri di lunghezza, mentre questi sono numerosi e ben più grossi, quasi uova di struzzo. Ne prendo uno e lo soppeso. Fanno una bella impressione in mano. Mai visti così sviluppati, le sequoie del nord Italia non ce la fanno, anche quelle più cresciute e meglio conservate. Otto centimetri per sei, non male davvero. Diversi sono verdi, anche questa una rarità perché in generale ne trovavo pochissime verdi. Dalla casetta dei custodi escono due signori molto simpatici, che mi parlano in dialetto ma capiscono in fretta che non li capisco. Allora si fermano, prendono la rincorsa e parlano seriosamente in italiano, così ci capiamo. Poi mi offriranno un caffè che invece parlava tutto calabrese, e per fortuna! Chiedo se posso misurare i tronchi, tirano fuori una rotella metrica e prendiamo le misure: la maggiore 800 cm di circonferenza, a petto d’uomo, la seconda “soltanto” 730 cm. Non ho più dubbi: sono le maggiori sequoie del sud Italia.
E’ emozionante guardare in alto e vedere le geometrie raggianti delle ramificazioni superiori che partono dal tronco, avvicinarmi e accarezzare la corteccia morbida che ricopre questi alberi monumentali. Quasi non degno di attenzione l’altro secolare che gli respira accanto, invero uno splendido esemplare di abete del Caucaso o abete greco ancora più alto, intorno ai 35 metri, con un tronco che si apre in tre branche primarie che corrono e si duplicano nella chioma. La sua circonferenza del tronco è pari a 620 cm. Non un alberello insomma. Non esiste una documentazione che definisca l’anno o il decennio esatto di messa a dimora per le due sequoie, ma si stima che siano state piantata fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del XX secolo. E confrontando misure del tronco e sviluppo con le sequoie viste in Liguria, in Piemonte, in Lombardia e in Trentino Alto Adige direi che si tratta di un’ipotesi assolutamente plausibile.
Tiziano Fratus