Storie di chiese e di misfatti. Il significato simbolico di Immerath e Poggioreale
Ecco serviti, all’inizio dell’anno, due modi opposti di trattare una chiesa, che sembrano due simboli delle possibili strade per il futuro che ci attendono al bivio: un’inversione a U verso la speculazione, l’inquinamento, l’insensibilità alla cultura e al paesaggio e, dall’altra, un cammino in salita, ma verso il recupero dell’esistente, la cura del territorio e la solidarietà. La prima chiesa è quella di San Lamberto a Immerath in Germania, abbattuta l’altro ieri dalla mano dell’uomo per fare spazio ad un deposito di carbone. La seconda, quella di Sant’Antonio a Poggioreale antica, in Sicilia, distrutta cinquant’anni fa dal terremoto del Belice e ora candidata alla ricostruzione grazie alle generose donazioni degli emigrati poggiorealesi in Australia.
A Immerath, nonostante le proteste degli attivisti di Greenpeace, l’8 gennaio le ruspe hanno abbattuto – con piena autorizzazione delle autorità – un’antica cattedrale neoromanica sconsacrata nel 2013. Secondo quanto riportato da un sacerdote anglicano espatriato in Germania, la parrocchia locale, a corto di fedeli, si sarebbe trovata in grave difficoltà economica per i costi di mantenimento della chiesa e prontamente la RWE, multinazionale dell’energia da 120 milioni di clienti nel mondo, invece di offrire una bella donazione da appuntare con orgoglio nel proprio report di sostenibilità, avrebbe avanzato un’offerta di acquisto dei terreni e dell’edificio, alla quale la parrocchia non ha saputo rinunciare.
Ma non era Trump l’unico cattivo del mondo che voleva portare il carbone alla Befana? La saggia cancelliera Angela Merkel aveva invece promesso di rispettare l’obiettivo tedesco di riduzione del 40% delle emissioni di CO2 entro il 2020 – possibile solo con il bando del carbone e non certo autorizzando un colosso nazionale a inaugurare nuovi depositi di lignite in sfregio all’architettura, al paesaggio e alla cultura di una piccola comunità. E pensare che Rolf Martin Schmitz, il CEO dell’azienda, nel report di CSR del 2016 aveva dichiarato che “la conduzione etica del business è il fondamento per la costruzione delle nostre prospettive future. RWE è fortemente impegnata nella propria responsabilità verso l’ambiente, i propri dipendenti e la comunità”. Le immagini della demolizione, che abbiamo voluto pubblicare al termine di questo articolo, parlano da sole. E il video è ancor più straziante. Solo qualche pazzo sanguinario dell’ISIS potrebbe considerarle un simbolo del futuro.
Ma, a volte, la storia e le decisioni degli uomini prendono altre pieghe. E’il caso di Poggioreale antica, il comune nella Valle del Belice, che il 14 gennaio del 1968 venne devastato da un terremoto di magnitudo 6,4. La scelleratezza dei governanti dell’epoca (insieme a qualche influenza “pesante”) portò alla costruzione di una nuova Poggioreale, una new town senz’anima e priva di calore umano che, dopo aver perso gli abitanti (ne sono rimasti 1.494 dai 4.000 di un tempo), perde già, per ammissione dell’attuale sindaco, i pezzi dei marciapiedi e delle tubature.
Oggi però, a pochi giorni dalle celebrazioni del cinquantenario del terremoto – alle quali parteciperà anche il Presidente della Repubblica Mattarella - un messaggio di speranza è arrivato dai poggiorealesi emigrati in Australia (più di 5.000 in tutto), che attraverso l’Associazione Sant’Antonio da Padova, hanno raccolto quasi due milioni di euro per ricostruire proprio la chiesa dedicata al santo patrono, nel centro della ghost town abbandonata.
Non è una partita dei mondiali, non si tratta di Italia-Germania 1-0, ma di simboli universali di due modi antitetici di intendere il futuro rapportandosi con l’antico, l’esistente, la cultura, la tradizione. Mi auguro fortemente che prevalga il modello Poggioreale.
Andrea Gandiglio