Stone Italiana: il recupero di materia che fa il lusso
I materiali di recupero, dagli scarti di madreperla al vetro della raccolta differenziata, fino al metallo e alle terre di spazzamento, fanno parte del suo stile. All’inizio, per senso estetico, e poi, sempre più, per sensibilità ambientale.
Stone Italiana è un’azienda di successo (il 2011 si è chiuso con un fatturato di oltre 38 milioni di euro, il 20% in più rispetto al 2010) e uno dei marchi che esporta il nome del nostro Paese nel mondo. Dal 1979 produce superfici per pavimenti e piani da cucina e da bagno in quarzo ricomposto, a cui si aggiungono via via elementi nuovi e diversi, che dalla fase post-consumo o post-produzione riprendono vita. Negli anni, l’azienda del veronese ha fornito materiali per progetti come la metropolitana di Dubai, la “nuvola” di Fuksas (l’avveniristico centro congressi di Roma in costruzione all’Eur) e i negozi di tutto il mondo di grandi nomi della moda italiana, a partire da Armani e Fendi, ma anche di marchi come Nike e Swatch.
DNA urbano, ultima creazione di Stone, è tutta nel segno della sostenibilità. Una lastra costituita per quasi il 60% dalle terre di spazzamento della città, «quella graniglia che si deposita contro i marciapiedi e che, opportunamente convertita, consente di recuperare materiali che possono così diventare nuova materia prima, permette di risparmiare energia, riciclare ed abbattere i costi di smaltimento». Il risultato, come sottolinea Silvia Dalla Valle, responsabile marketing dell’azienda, non è solo sostenibile, ma anche bello: «Qualità estetica e ambientale, per noi è il connubio perfetto».
Il prodotto, presentato al Salone del Mobile 2011, è nato quasi per caso: «Un giorno siamo andati a visitare gli impianti di CEM Ambiente per capire se era possibile riciclare i tubi di vetro dei neon. Per caso, ci hanno mostrato anche un impianto, per adesso unico in Italia, per riciclare le terre di spazzamento, che divide gli inerti dalla componente umida. E quasi per caso abbiamo preso un sacchetto di quelle terre e abbiamo fatto delle prove». Così, in collaborazione con CEM (azienda pubblica di gestione dei rifiuti, che opera in una cinquantina di comuni lombardi) e con gli ingegneri Arturo e Filippo Montanelli, è nata questa strana creatura, vincitrice anche del Sette Green Award.
«E’ affascinante pensare che un prodotto di qualità come questo raccoglie tutto quello che abbandoniamo sulle strade, è il Dna che ci ha lasciato la città. Quando l’abbiamo presentato, abbiamo dato alle persone delle lenti di ingrandimento, perché potessero vedere tutti i piccoli oggetti contenuti nelle lastre, dalla vite al semino». Il resto è composto da sabbia, polvere di quarzo e resina poliestere, quest’ultima presente in una percentuale che va dal 4 al 6,6% massimo, in linea con i requisiti della certificazione Ecolabel. Simile, ma con una percentuale un po’ più bassa di materiale di recupero, la composizione di altre superfici. Un marchio di abbigliamento e uno della grande distribuzione hanno già chiesto Dna urbano per i pavimenti dei loro punti vendita. «Non dico i nomi per scaramanzia, ma in generale il prodotto ha avuto molto successo», precisa Silvia Dalla Valle.
Se però la lastra con la graniglia delle città è l’invenzione più suggestiva dei laboratori Stone, prima ce ne sono state altre, tutte identificate con il marchio “Recycling Components”. «Utilizziamo materiali di scarto da sempre, all’inizio con sensibilità soprattutto estetica, a cui si è poi affiancata anche quella ambientale». Tutto è iniziato dalla madreperla, nei primi anni ’80: «Usavamo gli scarti della lavorazione dei bottoni. Oggi che i bottoni sono tutti in plastica, è più difficile da trovare». Poi sono venute le lastre con gli scarti dell’industria dei metalli (trucioli di ottone e silicio metallico, scarto dell’industria elettronica) e quelle con pezzi di specchio, derivanti dal riciclo degli specchietti retrovisori delle auto. Una linea, Re-video, è realizzata con i tubi catodici delle vecchie tv. Nel 2010, è stata lanciata Greenbell, superficie realizzata per più del 40% con i frammenti di vetro provenienti dalla raccolta differenziata delle campane urbane. I colori sono diversi (azzurro, marrone, trasparente, verde, blu) e ogni pezzo è unico: «Dipende dal vetro che troviamo sul mercato al momento della produzione». E i progetti non si fermano qui: «Stiamo pensando a superfici con gli scarti della lavorazione della pelle e della gomma».
Trovare materiali di recupero, spiega Silvia Dalla Valle, «non è una cosa affatto scontata, al contrario di quel che potrebbe sembrare». Non si tratta infatti di reperire solo scarti di produzione o rifiuti, ma «materiale purificato, che possa essere riutilizzato per la produzione di lastre in tutta sicurezza per i nostri lavoratori e i clienti». Impresa non sempre facilissima: «Per i tubi catodici, per esempio, abbiamo trovato un fornitore in Germania che ci garantiva un prodotto purificato, così come per il vetro di Greenbell abbiamo cercato in tutta Europa. In Italia non siamo ancora pronti per il recupero di questi materiali, ci sono ancora pochi impianti per “pulire” gli scarti e renderli così adatti per entrare in nuovi cicli produttivi».
Aspetti a cui Stone tiene molto. Nel 2010 ha ottenuto le certificazioni Green Guard Indoor Air Quality e Green Guard Children&Schools, garanzia che le superfici non rilasciano VOC (sostanze volatili nocive). Le lastre sono batteriostatiche e “food contact proof”, quindi indicate per usi domestici e distribuzione alimentare, caratteristiche garantite dalla Food and Drug Administration USA con il conferimento della certificazione NSF 51 . E a breve si concretizzerà anche un sistema integrato Qualità-Ambiente-Sicurezza sul lavoro secondo le norme ISO 9001:2008, ISO 14001:2004 e OHSAS 18001:2007. Stone Italiana è inoltre membro del Green Management Institute e del Green Building Council Italia, e con i suoi prodotti contribuisce al conesguimento del certificato di sostenibilità edilizia LEED (Leadership in Energy and Environmental Design).
Veronica Ulivieri