Stefano Unterthiner, la voce dura e pura della Val d’Aosta
Stefano Unterthiner, valdostano, classe 1970, è uno dei più noti fotografi naturalisti a livello mondiale. Zoologo, da oltre dieci anni viaggia in tutto il pianeta per ritrarre gli animali selvatici. I suoi lavori sono pubblicati sulle più importanti riviste internazionali, tra cui National Geographic e Airone. Oltre che per il suo talento, nelle ultime settimane Unterthiner ha fatto parlare di sé anche per una chiara presa di posizione contro le politiche ambientali dell’amministrazione regionale valdostana. “Amanti della natura, delle passeggiate in montagna, della fotografia naturalistica. Non venite in Valle d’Aosta. Qui vi prendono in giro”, ha scritto sulla sua pagina Facebook il fotografo il 25 agosto. In un lungo post, ha criticato alcuni degli ultimi interventi della Regione, dagli zoo – “Li chiamano “Parc Animalier”, perché come sapete qui c’è il bilinguismo e quando fa comodo si ricordano di usarlo” – alla caccia aperta di domenica, fino alla “decisione di abbattere 4.500 ghiandaie (ma anche gazze, cornacchie nere e grigie), nei prossimi cinque anni, per “proteggere” i meleti della Valle”. E ancora Unterthiner ha denunciato le politiche per il turismo invernale: “Nel piccolo comprensorio del Col di Joux (1600 metri di quota, innevato per pochi mesi all’anno, quando l’inverno si ricorda di arrivare) si stanno abbattendo circa mille alberi per allargare la pista da sci. (…) Nella valle vicina, quella di Ayas, a essere minacciato è l’ultimo versante ancora intatto del Monte Rosa, quello del vallone delle Cime Bianche. In questa zona selvaggia di straordinaria bellezza (inserita tra l’altro tra i SIC, i siti di interesse comunitario) è in corso uno studio di fattibilità per un mostruoso collegamento sciistico fra la Valtournenche e la Val d’Ayas”. Per non parlare dell’eliski: “E’ l’ultima follia valdostana. Basta pagare e la Valle d’Aosta è ai vostri piedi”.
D) Unterthiner, nel suo post ha criticato duramente l’amministrazione valdostana, scrivendo che “questa non è una regione che protegge la natura. Chi governa la regione, della natura se ne frega. La regione vuole soltanto i soldi dei turisti, niente altro”. Da quando le politiche hanno iniziato ad andare nella direzione sbagliata secondo lei?
R) La politica ambientale valdostana ha radici nel passato. Gli errori fatti anni fa potevano essere giustificati fino a un certo punto: d’altra parte è il turismo di massa ad aver reso la Valle d’Aosta quello che è oggi, anche se, per esempio per quanto riguarda l’edilizia, si poteva essere più accorti prendendo esempio da alcuni cantoni svizzeri, che invece di costruire ex novo hanno spesso privilegiato la ristrutturazione. La mia polemica però guarda avanti, a dove vogliamo andare. Negli ultimi sei mesi, la Regione ha fatto diverse scelte rispetto al progetto di turismo sostenibile VIVA, di cui io stesso sono stato testimonial.
D) Cosa l’ha spinta a prendere posizione pubblicamente?
R) La decisione sull’uccisione delle ghiandaie è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sono zoologo e so che questo intervento è una “porcheria” inutile. I corvidi torneranno. L’amministrazione dice che non ci sono state proposte alternative, ma questo è falso.
D) L’assessore al Turismo Marguerettaz ha definito pubblicamente la sua denuncia “un’azione censurabile e lesiva dell’immagine” della Valle d’Aosta. Ha parlato con l’assessore?
R) No, l’assessore non mi ha chiamato, purtroppo non c’è volontà di dialogo, né la capacità di guardare al futuro. Spero che nei prossimi anni vadano al governo della Regione persone dotate di quella “follia visionaria” che permette di avere una prospettiva di medio-lungo termine.
D) La sua polemica, diceva prima, guarda al futuro. Come dovrebbe essere la Valle d’Aosta nei prossimi anni nella sua visione?
R) Bisognerebbe andare verso l’eccellenza, puntare sulla capacità di distinguersi, su quello che rende unica questa regione. Ogni valle dovrebbe avere una sua specificità, valorizzando competenze e prodotti nel rispetto dell’ambiente. La mia idea di protezione non è quella di non toccare niente, ma di far fruttare quello che abbiamo senza distruggerlo.
D) Purtroppo la Valle d’Aosta non è un caso isolato. In Svizzera c’è il progetto di costruire una seggiovia per portare i turisti sul ghiacciaio dell’Eiger nel più breve tempo possibile, mentre in Abruzzo, sul Gran Sasso, dovrebbe essere costruito un nuovo impianto di risalita. Che sta succedendo sulle montagne?
R) Ci sono tante persone che sfruttano la scusa della crisi per far tornare in auge progetti rimasti nel cassetto. Così, le speculazioni vengono fatte passare per ricette per combattere la crisi. Ma in quelle regioni in cui la richeista principale dei turisti è l’ambiente, rovinarlo è come rovinare il futuro.
D) Lei viaggia molto in tutto il mondo: ci sono territori in pericolo di cui in Italia sappiamo ancora troppo poco?
R) Nei tropici nel Sudest asiatico, aree con un alto livello di biodiversità, la situazione è più che drammatica. Il capitalismo viaggia a velocità doppia rispetto a qua e l’ambiente è sotto minaccia costante. Nel Borneo, per esempio, negli ultimi vent’anni la maggior parte delle foreste è stata distrutta per far parte alle coltivazioni di palme da olio, mentre in Thailandia è rimasto solo un mosaico di foreste. In Vietnam si continua a cacciare qualunque cosa si muova: io stesso ho trovato trappole nella foresta.
D) A luglio, dopo sette anni, ha anche lasciato la International League of Conservation Photographers, denunciando “l’ipocrisia di questa fotografia contemporanea”. Cosa non va nella fotografia naturalistica di oggi?
R) Ad un certo livello, anche nella fotografia naturalistica la competizione si fa sporca. C’è molta voglia di apparire, di avere riconoscimenti. Secondo me, invece, prima di essere conservation photographers, bisogna essere conservation persons: la conservazione della natura deve essere il tuo obiettivo sempre, il fotografo naturalista deve avere un’etica anche fuori dalla macchina fotografica.
D) Quali sono i suoi prossimi progetti?
R) Ho in programma di partire per fotografare un primate per conto di National Geographic. È una specie che ha bisogno di essere portata sotto i riflettori e si tratta di un progetto a cui tengo molto: penso che in molti casi il ruolo del fotografo sia anche quello di fare da trait d’union tra il grande pubblico e i ricercatori impegnati ogni giorno sul campo. Inoltre, uscirà presto un mio libro sul Parco nazionale del Gran Paradiso, che mostrerà anche ai valdostani qual è la montagna che predico e vorrei vedere realizzata sempre.
Veronica Ulivieri