Stefano Liberti, instancabile viaggiatore alla ricerca del “prezzo ecologico” delle merci
Stefano Liberti incarna la figura mitica (e sempre più rara) del giornalista che consuma le suole per verificare le fonti e le notizie. Per fare questo ha girato mezzo mondo. Fatica, ma pure passione pura, per questo reporter e scrittore nato nel 1974 a Roma. Primi passi a Il Manifesto, il “quotidiano comunista”. Poi i reportage per L’Espresso, Geo, El Pais e Le Monde Diplomatique. Tra i premi giornalistici vinti, il Lucchetta nel 2007 e il Montanelli nel 2009 e poi, nel 2010, il premio L’Anello Debole con il reportage “L’inferno dei bimbi stregoni“, che racconta il fenomeno dei bambini accusati di stregoneria e abbandonati dalle famiglie. Nel 2011 il fortunato “Land Grabbing” sull’accaparramento delle terre da parte di grandi società e Stati, tradotto in molte lingue. Da leggere anche “I signori del cibo. Viaggio nell’industria alimentare che sta distruggendo il Pianeta” per Minimum Fax, un viaggio a ritroso, dagli scaffali della Grande Distribuzione ai campi e ai mari. Il prossimo week end potrete ascoltarlo dal vivo al Sementi Festival nel centro storico di Corinaldo, in provincia di Ancona.
D) Stefano, il prossimo fine settimana sarai ospite alla seconda edizione di Sementi Festival. Cosa porterai sul palco?
R) Le tematiche di cui mi occupo nel mio lavoro: l’ approccio al cibo e le dinamiche locali. Per “I signori del cibo” ho cercato di ricostruire la filiera di largo consumo di alcuni prodotti: dalla soia al tonno in scatola, un percorso dal supermercato fino ai campi, fino al mare, fino agli allevamenti e fino agli oceani dove vengono pescati i pesci. Il cibo è una merce uguale in tutto il mondo, ormai slegata completamente dal suo territorio. Viene prodotto con gigantesche economie di scala controllate da poche aziende. Una deriva che il sistema ha preso negli ultimi 20/25 anni, in modo inquietante ed irrispettoso dell’ambiente dei piccoli contadini. La produzione alimentare è una gigantesca industria che divora l’ ambiente e le persone…
D) Immagino che un reportage di questo genere e delicatezza (vista la materia incandescente) abbia richiesto molto tempo e approfondimento…
R) Ho viaggiato più di quanto mi aspettassi. Nella ricerca dell’origine del pomodoro concentrato sono finito nella Cina più remota dove si producono i pomodori che poi vengono trasportati via mare. Lo stesso discorso vale per la carne di maiale. Ho seguito questi movimenti di merce, veramente irrazionali per l’ambiente. Il pomodoro lo producono in Cina perché costa meno, tanto i costi reali sono spalmati sulla collettività che paga il conto finale. Il pomodoro concentrato prodotto con la materia prima cinese è poi indirizzato verso i mercati esteri – in Italia non viene consumato – anche grazie ad una serie di regimi doganali favorevoli: non si pagano infatti le spese dell’import se poi viene esportato. Noi, in sostanza, vendiamo un prodotto con marchio italiano, ma è pomodoro cinese con aggiunta di acqua!
D) I tuoi sono dunque spesso viaggi alla ricerca del “prezzo ecologico” delle merci che girano sulle nostre tavole ed entrano nelle nostre case…
R) Prendiamo un altro caso, l’allevamento intensivo: un capannone chiuso ti permette di fare grandi economie di scala, quindi avere carne a prezzo più basso. Ma questi animali devono essere alimentati dai mangimi, quindi si ha un grande consumo di terra per coltivare mais e soia; poi questi animali producono delle feci e delle urine ovvero dei rifiuti che devono essere smaltiti per l’alta concentrazione di ammoniaca e nitrati. Non sono più buoni come concimi. Senza dimenticare che vengono sottoposti a trattamenti antibiotici in grande quantità e questi poi finiscono nelle feci e nelle urine e possono facilitare l’insorgere di super batteri che resistono agli antibiotici. Il costo ambientale, quello del consumo di suolo ed il costo sanitario non sono conteggiati. Ognuno di noi li paga in quanto cittadino con il deterioramento delle risorse! Finita la produzione agricola, c’è solo la produzione industriale, che non è circolare…
D) “Land grabbing” è il tuo libro del 2011 su questo tema, quando ancora il fenomeno di accaparramento delle terre da parte di grandi società non era ancora molto conosciuto, giusto?
R) Sì, eravamo solo all’inizio di questi grandi investimenti fatti da attori della grande finanza internazionale. I primi si hanno a partire dal 2008/2009 quando l’immobiliare non tirava più ed era meno sicuro. I grandi fondi di investimento si sono lanciati e hanno iniziato a comprare terre nel Sud del mondo. Terra per produrre cibo o energia. I risultati? Si sono rotti gli equilibri, i piccoli proprietari hanno perso la terra perché la proprietà era dello Stato che l’ha concessa agli stranieri, da piccoli produttori si sono trasformati in braccianti a giornata. Anche quello è un libro di lunghi viaggi, molti in Africa, e ha avuto successo all’estero perché si è capito che era un fenomeno in divenire. Allora andavo spesso in Africa per lavoro e sono riuscito ad intercettare un movimento che stava nascendo.
D) Qual è, secondo te, il pericolo ambientale maggiore che corre oggi il Pianeta?
R) La produzione alimentare ha un forte impatto sul Pianeta da sempre, anche con l’agricoltura tradizionale. Oggi il tema principale è quello della dimensione, l’approccio intensivo, il tabù del nostro tempo. La popolazione mondiale è in aumento, ma non si dice mai della popolazione animale. In un anno abbiamo 70 miliardi di animali d’allevamento come i polli, che hanno una vita molto breve. Poi di maiali ne abbiamo sempre 1 miliardo stabili nell’anno. Questi 70 miliardi devono essere nutriti, alla loro alimentazione concorre quindi un terzo delle terre con mais, soia.... invece queste colture potrebbero essere destinate direttamente all’alimentazione umana. Senza dimenticare la produzione di scarti. E’ necessario ridurre il consumo e operare per superare gli allevamenti intensivi.
D) Come ha inciso nella tua vita quotidiana l’impegno ambientale?
R) Ho modificato le mie abitudini alimentari, eliminando la carne industriale e quasi tutta la carne. Oggi consumo alimenti più legati al territorio. Penso che i principi guida siano conoscenza e trasparenza: se non conosci il cibo, non puoi più fare scelte consapevoli, bisogna dare più trasparenza alla filiera. Nel 2015 ho viaggiato 200 giorni per raccogliere alla fonte le informazioni: è necessario invertire questa tendenza e trovare le informazioni dove si acquista.
Gian Basilio Nieddu