Stearica: l’ambiente ci lascia senza parole
Gas bianchi di ciminiere. Un uomo corre nella neve, bianca. Il cielo che fuma nuvole, “Sky smokes clouds”, scenario inquietante, claustrofobico: è il titolo del video degli Stearica. La band del post rock degli anni ’90 non ha mai smesso di sperimentare. Sonorità lisergiche nel bel mezzo di un festival di musica colta: i tre ragazzi sono uno dei gruppi off del cartellone di MITO - Settembremusica, la rassegna nata per unire culturalmente Milano e Torino.
Insieme da quindici anni, gli Stearica sono ormai abituati a calcare i palchi più importanti. Dopo gli Mtv Days e Traffic, presto suoneranno al Primavera Sound Festival 2011, la prestigiosa kermesse catalana, una sorta di Olimpo del rock internazionale. Nati nei contesti indipendenti, anche ora che il successo sta arrivando non vogliono “rinnegare i valori” che li hanno formati, come racconta il chitarrista del gruppo.
D) Francesco Carlucci (chitarra), Davide Compagnoni (batteria) e Luca Paiardi (basso), dai centri punk-squat del capoluogo piemontese al cartellone di un grande festival internazionale di musica colta. Cosa c’entrate voi con Mito?
R) Siamo stati chiamati per musicare il film Golem. Noi lavoriamo soprattutto con l’improvvisazione, ma questa volta adatteremo alla pellicola restaurata una vera e propria colonna sonora. Dalle immagini sono nati dei temi musicali, linee melodiche, parti ritmiche. Questo lavoro lo presentiamo in anteprima al Cinema Massimo. Scaramanticamente non vorremmo dir niente, ma dovrebbe nascerne presto una registrazione ufficiale.
D) Le vostre tournée sono più spesso all’estero che in Italia. Cosa rimane del clima “indipendente” e socialmente impegnato da cui siete nati?
R) Senz’altro i valori che ci hanno creato non li abbandoniamo. Parlando proprio di ambiente, siamo cresciuti in circuiti con una certa sensibilità per tematiche come il vegetarianesimo, la salvaguardia degli animali, la tutela dell’ambiente. Non possiamo ancora permetterci un concerto a impatto zero, perché ci manca una grande produzione alle spalle, ma restiamo personalmente sensibili a questi temi.
D) Qual è secondo voi il Paese in cui la qualità della vita è migliore?
R) La Spagna, indubbiamente. Ci suoniamo spesso, l’abbiamo girata in lungo e in largo, con grandi tour da nord a sud. Ci hanno adottato e noi la adoriamo. Lì la gente vive bene, ha ritmi di vita fantastici. Finisci di lavorare e si apre un’altra dimensione: quella del divertimento. Ci si incontra nei bar per mangiare insieme e bere, hai la possibilità di metterti a tuo agio, di rilassarti davvero.
D) Ok il divertimento, ma se parliamo di salute e ambiente? In Italia come si sta?
R) In confronto siamo molto frenetici e nervosi. Ma ragionare delle politiche ambientali del nostro Paese è come sparare sulla croce rossa. Sono insufficienti. Non c’è la volontà di investire sulla natura, sulla salvaguardia del paesaggio, con strategie anche turistiche. Banalmente parlando, potremmo vivere solo del nostro ambiente e della nostra storia. E invece abbiamo poli industriali sempre più in decadenza, che tuttavia producono inquinamento, non ci valorizzano e non creano lavoro. Le energie rinnovabili sono, per alcuni, ancora un tabù, non le nominano neppure. Potrebbero essere una miniera per l’impiego, ma non sono incentivate a sufficienza.
D) La vostra musica si adatta particolarmente bene a fare da colonna sonora ai paesaggi. Componete in città o fuori città?
R) Quando abbiamo scritto il primo disco, l’unico composto e suonato da soli, ci siamo ritirati nella zona di Chieri, in mezzo alla campagna. Questo ci ha permesso di staccare completamente il cervello metropolitano per qualche settimana. Fare musica con le finestre spalancate sul verde. E’ stato molto fruttuoso.
D) Cosa pensate dei concerti benefici, in particolare in favore dell’ambiente? Retorica, peggio ancora una scusa per vendere di più, oppure importante opera di divulgazione?
R) Tutto quello che viene fatto per sensibilizzare il pubblico ha senso. Però viviamo in un’epoca in cui la musica è diventata di larghissimo consumo. A nostro parere ha perso efficacia politica e valori, anche solo rispetto a 40 anni fa. Il vero discorso sarebbe di ridare alla musica un certo tipo di peso. Ma dovrebbe partire dai musicisti stessi, laddove lo si sente, riprendere consapevolezza che le cose vanno cambiate. Le nostre canzoni sono senza parole, per cui, teoricamente, non possiamo esprimere determinati contenuti, se non con il suono. Oppure con il titolo dei brani, o quando chiacchieriamo con il pubblico, dopo i concerti. Capita che raccontiamo l’Italia, soprattutto all’estero. Oltre confine non c’è un’immagine positiva della nostra nazione. Noi cerchiamo di essere obiettivi e un minimo patriottici. Anche questa è una maniera per fare politica, a modo nostro. Di fronte all’imbruttimento del Paese, da vent’anni a questa parte…
Letizia Tortello