Social trekking: camminare diventa critico, ecologico e collettivo
Per la rubrica “Racconti d’Ambiente“, pubblichiamo oggi due estratti dell’introduzione del libro “Social trekking” di Alessandro Vergari, edito da Terre di Mezzo. Il volume è una raccolta di 36 proposte per camminare insieme e fare rete in Italia e all’estero, dedicate agli appassionati di cammino, ma anche a chi, insoddisfatto delle solite vacanze, vuole accostarsi in modo diverso al viaggio, alla natura, alle culture locali.
In una recente traversata della Basilicata da costa a costa, mi sono stupito nello scoprire che stavo chiedendo informazioni a persone che non avevano la minima idea del territorio dove vivevano, abituati com’erano a muoversi solo in auto.
I sentieri su cui camminavano i loro genitori poche decine di anni fa sono ormai invasi dalla vegetazione e frequentati solo da cacciatori o cercatori di funghi. Nello spazio di una generazione si è persa l’abitudine di muoversi a piedi e il cammino si è trasformato in uno sport: running, jogging, nordic walking. E non è raro che per praticare questi nuovi esercizi di cammino si prenda comunque anche la macchina.
L’atto del camminare si è slegato dal territorio e lo spazio intorno è diventato estraneo, semplice scenario di un’azione connaturata da sempre all’essere dell’uomo.
Eppure un sentiero è per definizione una “stradina con fondo naturale, tipica delle zone di campagna o di montagna, formata dal passaggio di uomini e animali” e Whitman sentiva “cari” i sentieri perché li vedeva “gremiti d’invisibili esistenze”. È lo stesso per me: sento che tanti sentieri pulsano di vita e di storie.
È questo che forse ci manca: il gesto, il rituale del mettere i piedi l’uno davanti all’altro, non solo per spostarci, ma per vivere ed essere consapevoli di ogni momento del nostro cammino; sapere che, con il nostro andare, raccontiamo qualcosa, siamo partecipi di una storia, anche se sembra che non ci sia nessuno ad ascoltare o a vedere.
Riappropriamoci dunque di questa semplice azione: non servono corsi, non è un’arte, possiamo farlo tutti, anche per fare la spesa in una periferia di città, per andare al lavoro, per andare a trovare un amico, per iniziare a viaggiare più lenti.
Infine, in un’ottica di sostenibilità e di decrescita, che sta diventando sempre più attuale, sempre più impellente, camminare assieme può essere davvero un piccolo atto rivoluzionario, semplice e concreto, che pian piano (letteralmente) può cambiare la società.
… e farlo insieme
Sono stato a lungo un camminatore solitario. Mi ricordo che partivo all’alba, o anche prima, per andare a fotografare un panorama con la luce migliore del mattino, o semplicemente perché non mi andava di condividere i miei ritmi di marcia con nessuno.
Poi ho scoperto il valore dello stare insieme nell’affanno silenzioso di una ripida salita, come nell’allegria di una notte in camerata. Ho assaporato il gusto di scambiare un biscotto con una susina, di confrontarsi sul percorso da fare, di dare una mano ad alzarsi dopo la pausa, di guardare la stessa valle e sentire sensazioni diverse, di avvertire la stessa stanchezza, ma anche la stessa soddisfazione, e scoprire che il cammino dà anche il tempo di conoscere meglio chi ti è accanto.
Oggi non mancano certo le occasioni per camminare insieme, tante sono le associazioni e le cooperative che offrono proposte diverse, adatte alle esigenze di ognuno. Nelle pagine che seguono, abbiamo cercato di raccogliere quelle che hanno una sensibilità, un’attenzione in più nel farlo insieme e nel porre al centro della loro attività proprio la ricchezza e il valore aggiunto della relazione umana. (…)
Piemonte: Alpeggi e formaggi
La prima volta che sono salito all’Alpe Solcio mi è sembrato di entrare in un mondo dove nulla era fuori posto. Conoscendo poi la signora Emilia, il viaggio nello spazio è diventato anche un viaggio nel tempo, un viaggio nei gesti e negli oggetti di un alpeggio rimasto intatto, identico a quello che era secoli fa.
L’alpe Solcio è un posto intimo, racchiuso; ma quando si arriva all’Alpe Veglia passando dalle “aperture” di Ciamporino, lo scenario diventa grandioso, il Monte Leone incombe severo ma anche protettivo e la forza della natura risveglia i nostri sensi. Un grande silenzio avvolge la vita sulle montagne, e salendo sopra il limite dei larici, una sensazione di immensità ci pervade. Gli antichi alpeggi in pietra rappresentano gli avamposti più estremi della vita in quota. Qui regnano leggi precise, equilibri che vanno intuiti. Dalle conoscenze e dalle mani dell’alpigiano, dal calore del fuoco e dai giusti tempi di attesa, nasce il formaggio, il frutto di un intero ciclo di lavoro e di secoli di perfezionamento.
Sono le sette del mattino, la mungitura è finita, le mucche escono al pascolo e i loro campanacci risuonano, mentre all’interno dell’alpeggio, nel grosso paiolo di rame, si inizia a scaldare il latte.
Il Bettelmatt è formaggio d’alta quota e perciò è raro, prodotto solo pochi mesi all’anno e solo sopra i 2.000 metri di quota. Il latte della “bruna alpina” diventa un infuso di erbe preziose, un insieme di sapori che si trasferiscono direttamente nella pasta di questo formaggio, fra i più ricercati e apprezzati.
Il territorio
La Val d’Ossola è un cuneo, una culla tra le cime, un magico ventaglio di vallate. A poca distanza da Milano, ospita la più estesa area di wilderness del Paese: il Parco nazionale della Val Grande, un posto ideale dove “perdersi” e “ritrovarsi”, dove si può camminare per giorni letteralmente risucchiati dalla natura.
L’Ossola è una valle di pietra, di graniti, serizzi e marmi. È da qui che viene il famoso marmo di Condoglia, essenza stessa del Duomo di Milano. Il centro di Domodossola è un vero gioiello in stile medievale e una sosta nella sua piazza centrale è certamente da consigliare. Ma il più spettacolare monumento di pietra della valle è la parete est del Monte Rosa, che si può ammirare dalla Valle Anzasca. È la parete più alta e vasta di tutto l’arco alpino, un pezzo di Himalaya in Europa.
Questa è anche terra di acque e bacini artificiali. Meritano una visita le centrali idroelettriche, disegnate agli inizi del ’900 dall’architetto milanese Piero Portaluppi: esempi di un’architettura estrosa ed elegante, capace di spaziare tra stili diversi, dimostrando come l’industria non debba necessariamente essere “cosa brutta”.
Oltre al Parco nazionale della val Grande, in Ossola troviamo il Parco naturale Veglia-Devero, che ospita esempi dell’integrazione armonica tra uomo e natura. Le tracce dell’uomo sull’ambiente naturale sono un valore aggiunto, grazie a cui il paesaggio si arricchisce di storia e di cultura. L’abitato di Crampiolo per esempio, appena dopo l’alpe Devero, è un piccolo capolavoro incastonato tra le vette, e le case di Riale, in alta val Formazza, ci riportano a un passato in cui i walser abitavano questi territori di confine tra terra e roccia o tra terra e ghiaccio. La val Formazza, estremità nord del territorio ossolano, è montagna allo stato puro, un dedalo di cime e punte di roccia, dove la forza della natura si esprime con tutta la sua intensità.
Alessandro Vergari*
* Guida escursionistica, è tra i fondatori della cooperativa Walden – Viaggi a Piedi e tra gli ideatori del movimento del social trekking. Con Terre di Mezzo ha pubblicato anche Con le mani nella terra.