Se l’Italia non va più a “bafafare”. La speranza di un nuovo ciclo per le politiche ambientali
Al di là delle infinite letture e interpretazioni del voto delle elezioni comunali 2016 - che lasciamo agli analisti politici – un dato, a mio avviso, è importante, per il futuro delle politiche ambientali urbane: abbiamo assistito, in due delle grandi città al voto, e in altri comuni più piccoli (penso a Pinerolo e San Mauro Torinese in Piemonte), ad una netta rottura con il passato. Personalmente non mi importa quali siano le ragioni del voto, ma sono invece molto attratto dalla concreta possibilità che si apra un “nuovo ciclo”, per certi versi rivoluzionario (nel senso letterale del termine, senza giudizi di valore).
Diventano infatti sindaco, a Torino e Roma, due ragazze giovani e determinate, rappresentanti di un Movimento che ha fatto, sin dall’inizio, dell’ambiente una delle proprie “stelle” e che, alla fine, è riuscito a fare quello che i Verdi Italiani (e poi Green Italia) hanno annunciato, per anni, di voler fare, senza mai farlo realmente: traghettare i temi ambientali al di là delle vecchie logore categorie di destra e sinistra e dell’appartenenza di partito. Perché (banale, ma sempre utile ricordarlo), l’ambiente e la salute non sono né di destra, né di centro, né di sinistra. E nemmeno la green economy. Sono questioni politiche, sociali ed economiche irrinunciabili per chiunque abbia un minimo di sintonia con il tempo presente in cui vive e il futuro in cui vorrà vivere e far vivere i propri concittadini.
Quante volte si è detto che Matteo Renzi è “un animale politico” di grande fiuto e che Piero Fassino è uno statista di grande esperienza? Mah, sarà anche vero, ma non mi sembra che abbiano saputo intuire adeguatamente quello che stava succedendo intorno a loro e la voglia di rinnovamento radicale di molti italiani, a partire da quelli che non hanno mai militato nei partiti, che hanno le partite IVA, che hanno studiato e parlano lingue straniere, che non amano adulare il potente di turno, che sanno dire sì ma anche no (perché questo monosillabo non è una bestemmia, è un esercizio critico). Forse non lo hanno fiutato bene perché obnubilati dall’arroganza e dalla presunzione. Quella di chi crede, tra le altre cose che, tanto a livello nazionale che locale, basti gettare nella mischia qualche specchietto per le allodole sui temi ambientali, per tenere buoni “gli ambientalisti”. Senza che ci si debba veramente credere, senza troppa fatica e senza pestare troppi piedi.
Quando Renzi si insediò come Presidente del Consiglio (non eletto), a febbraio del 2014, fui costretto a inventarmi un nuovo verbo onomatopeico, “bafafare” (una sorta di crasi di BAriccoFAssinoFArinettiREnzi), per descrivere quel clima di “complicità” (che abbiamo ampiamente vissuto nei due anni successivi), creatosi tra personaggi strafottenti che possono essere considerati il “nuovo” solo da chi non abbia conoscenza del “vecchio”. Il Gattopardo fatto a politica: tanto movimento e belle frasi, purché, nella sostanza, non cambi nulla. La stessa ricetta che ora si ripropone con il Referendum costituzionale di ottobre.
Forse Raggi e Appendino – e gli altri neosindaci del M5S o di (vere) liste civiche – hanno saputo comprendere che la politica e la buona amministrazione di cui molti Italiani sono affamati è quella della quotidianità, non delle “grandi opere”. Veramente qualcuno crede, in buona fede, che a Roma servano le Olimpiadi del 2024 per rinascere? Veramente qualcuno crede, in buona fede, che la priorità del Paese, in questo momento, sia la riforma costituzionale? A me (e forse anche ad altri) interessano la “fiscalità ecologica” (che cambierebbe il modo di produrre, di consumare, di muoversi, di mangiare di ciascuno di noi), il verde in città, lo stop al consumo di suolo che devasta le campagne, il miglioramento della qualità dell’aria, la riduzione dell’inquinamento con cui dobbiamo convivere ogni giorno ecc ecc. Non sono sogni da ingenui, sono obiettivi di buon senso e buon governo che producono anche ricchezza, perché sono pur sempre “opere” da realizzare. Sono sfide che, al momento, mi appassionano molto di più che sapere quanti senatori siederanno nel Parlamento Italiano.
Raggi e Appendino e tutti gli altri, ovviamente, devono ancora dimostrare tutto e sono ben consapevoli che nessuno ha la bacchetta magica né potrà risolvere qualsiasi problema in 5 anni. Ma tentare nuove vie, adottare nuove logiche, mettere in campo nuove persone e rompere stagnazioni monopartitiche pluridecennali (23 anni di PD a Torino!) è già un ottimo punto di partenza, che riaccende le speranze e l’interesse verso la “cosa pubblica” di molti cittadini.
Andrea Gandiglio