Rinnovabili: torna il vento in poppa all’Unione Europea
Puntare sull’eolico per raggiungere l’indipendenza energetica. È questa, in estrema sintesi, la strategia dell’Unione Europea descritta dal vicepresidente della Commissione UE per l’Unione Energetica, Maroš Šefčovič, durante il Wind Europe Summit 2016 ad Amburgo.
Nel maxi piano comunitario dedicato alla transizione delle politiche energetiche europee, quindi, il vento è la risorsa privilegiata. L’obiettivo è che l’Unione Europea entro il 2030 produca energia da fonti rinnovabili almeno per il 27%, così da ridurre le emissioni del 40% entro lo stesso anno. “Abbiamo ridotto le emissioni provocate dall’effetto serra del 24% e questa è una buona notizia”, ha dichiarato Šefčovič, “Inoltre, qualcosa come 9 milioni di nuovi posti di lavoro nel 2014 sono legati al processo di transizione a un sistema basato su basse emissioni di carbonio. Si prevede che per il 2030 questo tipo di posti di lavoro saranno 18 milioni”. Ha poi aggiunto.
Ma c’è un fenomeno interessante che il Commissario non ha sottolineato e che emerge, invece, dall’ultimo rapporto del centro studi CE Delft, commissionato da Greenpeace. Nel documento non si evidenzia solo un crescente aumento del ricorso alle energie rinnovabili nell’UE, ma un ruolo dei consumatori di energia sempre più determinante. Si tratta degli “energy citizens”, come si legge nello studio. “Un numero sempre crescente di famiglie, organizzazioni pubbliche e piccoli imprenditori vogliono produrre energia, rispondere ai cambiamenti della domanda o immagazzinare energia nei momenti di eccesso di offerta”. Con questo termine non si intendono, infatti, soltanto le utenze domestiche, ma il concetto va allargato anche alle piccole e medie imprese, nonché agli edifici pubblici. I cittadini vanno considerati sia come singoli sia come partecipanti a consorzi e progetti collettivi. Entro il 2050 un cittadino su due dell’Unione Europea (pari a 264 milioni di persone) potrebbe produrre da sé l’energia che gli è necessaria e magari rivenderne sul mercato una parte. Se si raggiungesse questa quota, l’autoproduzione potrebbe coprire fino al 45% della domanda di tutta l’UE. Questa trasformazione si deve principalmente ai minori costi degli impianti fotovoltaici e, anche in questo caso, all’ingresso del mini-eolico sul mercato.
L’apporto dei singoli stati è ovviamente differenziato: in testa troviamo la Svezia, che già da tempo si è data obiettivi sulle rinnovabili ancora più sfidanti di quelli stabiliti da Bruxelles: al 2050, nel paese scandinavo i cittadini autosufficienti potrebbero essere il 79%. Mentre potrebbe essere la Lettonia la nazione dove l’energia autoprodotta coprirà la quota più alta della domanda complessiva, (83%).
Alla luce di questi dati, Greenpeace ha avanzato una serie di richieste a Bruxelles da inserire nella revisione della Direttiva sulle Energie rinnovabili. Tra queste si prevedono: tariffe adeguate per i cittadini che immettono in rete l’elettricità prodotta in eccesso e che utilizzano sistemi di accumulo e sono impegnati nella gestione della domanda; priorità di accesso alla rete a tutti i progetti degli energy citizens; esenzione degli aiuti di stato per i progetti legati alla generazione distribuita, a prescindere dalle dimensioni del progetto e una semplificazione normativa delle procedure.
Al di là delle incoraggiati parole di Šefčovič, l’impegno degli energy citizens è infatti davvero determinante. Per capirlo, basta dare un’occhiata agli ultimi dati pubblicati da Eurostat. Nella relazione dal titolo “Shedding light on energy in the EU“, l’Ufficio statistico dell’Unione Europea analizza da dove proviene l’energia che consumiamo, quanto siamo dipendenti dalle importazioni, quanto i vari Paesi siano efficienti nel consumi energetici e offre interessanti spunti per comprendere meglio quali saranno le prossime sfide che dovrà affrontare l’Unione dell’energia.
Nello studio si legge che nel 2014 l’UE ha prodotto circa un terzo (35%) della propria energia, mentre ne sono stati importati due terzi (65%). Il nucleare, con il 29% della produzione totale di energia dell’UE, ha rappresentato nel 2014 la fonte maggiore. Le energie rinnovabili, con il 25% sono la seconda fonte, seguita da combustibili solidi (19%), il gas naturale (15 %) e olio greggio (9%).
La quota di energie rinnovabili nel consumo di energia è aumentata costantemente tra il 2004 e il 2014, dall’8,5% al 16,0%, avvicinandosi al target europeo del 20% entro il 2020. In alcuni paesi la percentuale prevista dai target europei è già stata raggiunta, come in Svezia (52,6%), Austria, Finlandia (38,7%) e Italia. I paesi in cui la percentuale di energia provniente dalle rinnovabili è più bassa sono invece Lussemburgo (4,5%), Malta (4,7%), Paesi Bassi (5,5%) e Regno Unito (7,0%). Tutti gli Stati membri hanno aumentato la loro quota di energie rinnovabili tra il 2004 e il 2014, dodici hanno almeno raddoppiato la loro quota. Tuttavia, se si guarda ai consumi finali, appena il 7,7% dell’energia consumata in Europa arriva da fonti rinnovabili. Il petrolio copre poco meno del 40%, mentre circa un quinto della potenza consumata deriva dal gas naturale. Gli stati europei devono quindi impegnarsi di più per raggiungere i target fissati dall’Europa e aumentare la quota di rinnovabili nei consumi finali.
Intanto, dopo l’approvazione preliminare, da parte del Consiglio Ambiente di Bruxelles del 30 settembre, della ratifica dell’Accordo di Parigi, la UE ha avviato il percorso formale che dovrà portare all’approvazione da parte del Parlamento in tempo utile per arrivare all’ONU il 7 ottobre con “le carta a posto” e poter partecipare da protagonista alla COP22 di Marrakech a novembre.
Beatrice Credi