ReBOX, le “doggy bag” per cibo e vino che ti tolgono dall’imbarazzo
Metti una sera fuori casa, un locale accogliente, ottimo cibo, la giusta compagnia – ma astemia (o quasi). L’idea di gustare un buon bicchiere di vino, a questo punto, può evaporare, perché non tutti sono disponibili “al calice”. Spendere soldi per una buona bottiglia con il rischio di lasciarla a metà sul tavolo può dispiacere e, alla fine, si rinuncia. E’ questa la scena che ha ispirato l’imprenditore Marco Lei nella progettazione di reWINE: “l’esperienza è stata vissuta con mia moglie, che beve solo due dita di vino”. Ecco allora (come recita il claim aziendale) “il contenitore che ti permette di portare a casa, in maniera elegante, moderna e discreta, la bottiglia di vino aperta ma non terminata“.
La creatività di Marco nasce da esperienze familiari anche nel caso di reFOOD, l’altro prodotto di reBOX – l’azienda che gestisce con la moglie Daniela Demasi ed il socio Paolo Caimi a Nichelino, in provincia di Torino. “Lo stimolo è arrivato da nostro figlio che, a 9 anni, al ristorante lasciava spesso pieno il piatto. Eravamo esasperati da questa situazione e in un ristorante messicano, per assurdo, è nata l’idea di una doggy bag all’italiana“. Ovvero con un tocco di design e creatività, perché culturalmente noi Italiani abbiamo bisogno anche della forma, oltre alla sostanza, e non ce la sentiamo proprio di tornare a casa dal ristorante con le vaschette di alluminio dentro il tristissimo sacchetto di plastica. “Il nostro ragionamento è stato semplice: perché in Italia la doggy bag non funziona? Ci siamo dati questa risposta: i ristoratori non offrono il servizio perché manca il prodotto idoneo. La vaschetta ‘fa barbone’, ci si vergogna. Abbiamo scoperto che il 60% dei clienti sarebbe disposto a chiederlo, ma deve essere bello da vedere, elegante“.
Nel novembre del 2015 i tre soci di Malvida Srl partono con la ricerca, lo studio, i primi test con i consumatori e la collaborazione con lo IESCUM (Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano), dipartimento dello IULM di Milano dedicato al nudging, ovvero allo studio di come far cambiare i comportamenti alla gente in modo non coercitivo. La startup torinese vuole provare a convincere le persone in modo intelligente, senza dover per forza utilizzare i discorsi sullo spreco alimentare, giustissimi e nobili ma non sempre efficaci nella pratica. Per essere pragmatici meglio l’escamotage del reFOOD “‘d’artista”, un contenitore che Marco e Daniela definiscono: “comodo, pratico, colorato, ecologico, etico“. E soprattutto disponibile per i ristoratori in forma continuativa e non solo per campagne spot occasionali, che fanno molto social ma non risolvono il problema.
ReBOX è così entrato nei ristoranti, prima singolarmente, con un’azione porta a porta, e poi, in maniera più massiccia, “grazie anche ad una partnership con Ticket Restaurant che ci ha aperto altre porte. Prima delle festività natalizie ci hanno proposto di mandare una comunicazione alle aziende loro clienti sullo spreco durante i pranzi e le cene aziendali di Natale. Un tentativo con buoni risultati: si è andati oltre le festività ed è già sbocciato l’interesse per tutto l’anno. Al meeting aziendale ora si può dunque mettere a disposizione dei dipendenti la reFOOD o la reWINE, anche personalizzata con il proprio brand”. ”Puntiamo inoltre sui matrimoni – aggiunge Marco – poi al lavoro di divulgazione nelle scuole, con il coinvolgimento attivo degli studenti anche nella creazione artistica”. Il progetto coinvolge infine i Comuni, come quello di Ravenna, che ha comprato 10.000 reFOOD personalizzate, distribuite durante gli eventi estivi del 2017.
Un modo “cool” e molto “green” di contribuire attivamente a ridurre la piaga dello spreco alimentare – e di conseguenza le emissioni e l’inquinamento. Il contenitore, per altro, è in cartone riciclato e riciclabile, e permette di conservare il cibo risparmiato in frigo o di infornarlo direttamente nel microonde. Per il 2018 è allo studio una collaborazione con Favini (altro “Campione d’Italia” intervistato recentemente da Greenews.info), produttore di carte che derivano, a loro volta, dagli scarti della produzione agricola.
Il modello di business di reBOX (pluripremiato e oggetto di un’incubazione da parte di Social Fare) va oltre la mera vendita di “scatole” ai ristoratori e punta sulla creazione di progetti strutturati, che coinvolgano tutti i soggetti impegnati nella lotta allo spreco, con una valenza formativa e attraverso contest tra ristoranti e giochi didattici per i bambini.
Gian Basilio Nieddu