Radici nel Cemento: un nuovo album per celebrare il “Movimento lento”
La lentezza nel tempo attuale è vista con un’accezione negativa. Quella dettata dalle note dei Radici nel Cemento è una lentezza positiva, meditativa. “Movimento Lento” è un elogio alla lentezza in levare. I Radici nel Cemento sono infatti una storica reagge band romana. Il brano è all’interno dell’album “7” uscito lo scorso 14 ottobre. Il gruppo, attivo dal 1993, ha collezionato numerosi tour in Italia e in Europa collaborando con nomi storici della scena reggae giamaicana (da Laurel Aitken a Max Romeo, a Alton Ellis) e italiana (Bunna e Madaski degli Africa Unite e Roy Paci). Se, come si legge nella biografia, «Radici nel Cemento sono una metafora della tradizione e della memoria storica in una società, come la nostra, che dimentica troppo in fretta il suo passato», il gruppo non manca di confrontarsi con l’attualità, anticipando le tendenze: è il nel caso dell’inno alla bici scritto da Radici nel Cemento nel 2009 quando si stava preparando il “cambiamento”, come spiega Giulio Ferrante, voce e basso del gruppo.
D) Mentre si ascolta il singolo “Movimento Lento” vengono alla mente le diverse declinazioni della lentezza, a partire dalla mobilità. La genesi di questa canzone parte anche dalla voglia di muoversi più lentamente, andando a piedi o in bicicletta?
R) È una genesi allargata, l’idea fondamentale di questo pezzo è che la vita di tutti i giorni, soprattutto nelle grandi città, è un correre e rincorrere gli impegni. E’ talmente stressante e totalizzante che alla fine ci si accorge di avere poco tempo per sé stessi e per le cose veramente importanti che determinano la qualità della vita: condividere tempo ed esperienze piacevoli, insieme o da soli. Questa grande contrapposizione tra il tempo frenetico dedicato alle attività necessarie e il pochissimo tempo tempo, è la questione di base da cui è nato il pezzo. La canzone non è altro che un inno alla lentezza e soprattutto alla ricerca della lentezza. La ricerca del tempo e del movimento lento, in una società in cui siamo trasportati dalla frenesia di ogni giorno, ha quasi un’accezione rivoluzionaria. La bici è un simbolo della mobilità che riguarda il “movimento lento” ma non è solo questo. C’è tanto altro.
D) L’aggettivo “lento” viene spesso usato con il termine inglese “slow” in particolar modo quando si parla di cibo. Il “movimento lento” per voi è legato anche all’alimentazione?
R) È un’altra accezione del “movimento lento”. Consumare un pasto in modo frenetico al fast food per avere più tempo, ritengo che sia una delle cose più sbagliate. Al contrario trovo molto salutare, decidere di alzare il livello qualitativo del nutrimento dedicandosi più tempo. In che modo? Cucinare scegliendo antiche ricette che derivino da una cultura, da una tradizione, da una storia, che hanno dei motivi per essere così com’è sono. Mangiando lentamente ci si gode il cibo e ancor di più se si è in compagnia. Vedo il “movimento lento” come una grande scatola capace di contenere queste attività che contrastano con tutto ciò che tende a farci correre: mangiare lentamente, muoversi lentamente in bicicletta, decidere di vedersi con gli amici e passare un po’ di tempi insieme al parco. Queste attività sono anche un’alternativa allo stare sempre connessi alla rete. Su internet si rischia spesso di ritrovarsi a parlare contemporaneamente con sei o sette persone differenti. Ma se alzi gli occhi dallo schermo ti accorgi di essere solo in casa. Ti illudi di condividere qualche cosa ma alla fine stai battendo sui tasti per sentirti presente e sentire la presenza degli altri. Se non c’è la fisicità secondo me si conclude poco.
D) Il reggae aiuta a vivere lentamente?
R) Il reggae dà sicuramente una mano a vivere più lentamente. Siamo molto contenti di aver utilizzato per questa canzone il reggae più vero, quello più roots, più tradizionale. Questo genere secondo noi si adatta benissimo a questo testo. Il nuovo reggae invece, quello da dancehall, tende ad assomigliare un po’ troppo al rap estremo dove c’è la necessità di massima energia, strilli e possibilmente un numero di battiti molto sostenuto. Il reggae suonato, quello tradizionale, rende invece più tranquilli, meno rigidi, più disposti a condividere.
D) Ritornando al tema della bicicletta, come nacque la vostra canzone del 2009?
R) Il pezzo lo scrisse il vecchio cantante che ora non fa più parte del gruppo. Ricordo che fu pensato in contemporanea delle prime esperienze di Critical Mass. In quegli anni eravamo all’inizio della riscoperta della bici. Ma il tema era ancora in una fase “underground”. A quei tempi la bici era un oggetto di rivendicazione che fu fatto proprio da gruppi ristretti. Era la prima volta che qualcuno disse “basta con l’auto, ora mi affido alla bici”. Questo fece scaturire quel percorso lungo il quale furono create le ciclofficine dove si sperimentava la riparazione delle proprie bici. Vennero fuori anche bici dalle forme assurde come quelle esibite in occasione della “Ciemmona” di maggio a Roma. Questo percorso ha riportato la bici ad essere un mezzo di trasporto quotidiano.
D) Secondo te cosa andrebbe fatto per incentivare ancora di pù l’uso della bici?
R) Nel caso di Roma, dove abito, ci vorrebbe una spinta maggiore affinché sia più facile la condivisione della bici e sia agevolato il trasporto della bici sui treni e in metropolitana. Quest’ultima cosa si può fare ma ancora in modo limitato in termini di giorni ed orario. Occorre più attenzione ai pedali. In questo modo, probabilmente la bici prenderebbe ancora più piede. I cambiamenti spesso partono dal basso com’è stato per le due ruote. A questo dovrebbero aggiungersi amministrazioni pubbliche attente che sostengano il cambiamento impegnandosi affinché sia più facile essere ciclisti in una grande città. Occorrerebbe puntare sulle piste ciclabili, sulla sicurezza stradale, sui posteggi sicuri e sull’intermodalità con i mezzi pubblici. Su questo c’è ancora da lavorare.
Giuseppe Iasparra