Pietro Leemann: come conquistare la stella Michelin con la cucina vegetariana
Allontanare dalla cucina e mettere alla porta ogni tipo di carne e di pesce senza nuocere al palato e alla soddisfazione del cliente con piatti di alta cucina, ma tutti a base di ingredienti vegetali. Una celebrazione del gusto che sembrava impossibile e invece vede l’Italia protagonista con Pietro Leemann, il creatore di Joia, il primo ristorante vegetariano europeo stellato Michelin.
Una bella medaglia, un vero Campione d’Italia che ha contribuito al movimento di conversione di tanti connazionali in vegetariani – secondo i dati dell’ultimo rapporto Eurispes lo sono il 7,1% dei cittadini, più un 1% che si dichiara vegano – portandoci nella vetta europea della classifica dei non consumatori di carne e pesce.
Una nuova dieta alimentare, quella di Leemann, spesso vista, letta ed interpretata come moda da radical chic per via dell’alto costo dei cibi con etichetta vegetariana. Un problema che lo chef milanese ha cercato di risolvere con l’apertura del “Bistrot“, luogo di democrazia popolare del mangiare sano. “E’ la mia sfida. Offrire cibo di alta qualità ad un prezzo accessibile, con 12 euro è possibile prendere il piatto unico. Una scelta che mi ha dato ragione perchè il locale spopola, si registra un’affluenza incredibile, le persone scelgono di mangiare sano quando possono”. Un discorso necessario perchè la qualità piace a tutti, ma non tutti possono permettersela. C’è un mito da sfatare: “cucinare sano non costa di più, bisogna cambiare il meccanismo. Saltare dei passaggi per ripagare il lavoro dei contadini che sono sotto ricatto di un sistema economico che non li premia. Io vado direttamente da loro”, confessa Leemann. “La zucchina non può essere pagata 20 centesimi al produttore, per poi ritrovarla a 3 euro al chilo. Con l’acquisito diretto è possibile comprare un prodotto biologico che costa come quello convenzionale però fa mangiare il contadino e mi garantisce un ingrediente strepitoso!“.
La rivoluzione in cucina, dunque, deve partire dal campo. E’ necessaria una valutazione sociale ed ambientale della produzione industriale cioè valutare le esternalità negative: i costi del deterioramento della salute e del sistema naturale. Una battaglia che Leemann sposa appieno: “Nel calcolo dei costi dei beni alimentari non sono valutati tutti gli aspetti. L’inquinamento prodotto dall’agricoltura convenzionale ha un costo, un giorno si dovrà pagare. Stesso discorso per l’impatto sulla salute, le spese di cura dovrebbero essere contabilizzate nel costo della materia prima. Un cibo malsano costa troppo, un cibo sano no. Un paradosso!“.
C’è da prendere in mano la calcolatrice perché i vantaggi del chilometro zero e del biologico non sono un vezzo da romantici e nostalgici del mangiare che fu, ma una realtà e una prospettiva concreta. Valutiamo, ad esempio, l’economia di un pollo con lo chef del Joia: “un pollo allevato in Brasile costa 5/6 euro al chilo, ma non è un prezzo reale. Non si è pagato l’inquinamento generato in quella terra e lo spreco di carburante consumato per portarlo qui. Chi pagherà l’inquinamento? Bisogna aggiustare il tiro e fare i calcoli corretti includendo i danni alla salute delle persone, l’energia consumata e l’inquinamento prodotto“, spiega Leeman. Questa si che è fiscalità ecologica!
Ma per una maggiore affermazione del mangiare sano, e vegetariano per Leemann, serve una svolta economica anche nei ristoranti. Serve fantasia ed originalità per calmierare i prezzi, un esercizio non dispendioso.” Bisogna puntare sulla limitazione degli sprechi del cibo che si usa in cucina. Faccio un esempio concreto: un chilo di pasta biologica di altissima qualità costa sui 2 euro al chilo, una pasta non biologica costa 1 euro. Se facciamo il calcolo su una porzione di 100 grammi abbiamo un prezzo rispettivamente di 20 e 8 centesimi. Non è una differenza così grande. Si può giocare sul condimento, si usi meno companatico. I veri costi di un locale sono le utenze ed il personale.” Insomma per Leemann esiste una via economica al mangiare salutare. Ora bisogna poterla intraprendere. “Lo Stato deve essere garante della salute pubblica, come negli USA con le bevande gasate. Un’azienda non può produrre un cibo malsano e farla franca”. Va bene la carota (biologica), ma serve pure il bastone.
Gian Basilio Nieddu