Orlando al Santuario di Forno: 444 gradini di preghiera con i piedi
Al termine del mio Camino de Santiago, sulla scogliera di Finisterre, incontrai un uomo di nome Garth, arrivato alla fine anche lui del suo pellegrinaggio, e venne a entrambi di tornare alla domanda iniziale: che significa essere un pellegrino? La sua risposa fu: “Significa pregare coi piedi”. Dai tempi del Pensiero ellenico, passando per le parole di carne e polvere dei Profeti, ai viaggi di formazione dei padri del pensiero moderno – con Rousseau o Thoreau – ai misticismi di massa del Novecento sulle orme di Siddharta e, infine, agli odierni fenomeni di riscoperta dei cammini santi, è stato sempre latente il legame tra il viaggio a piedi, il dialogo con sé (e con i se), il contatto con la Natura e l’apertura all’Altro. E, nella circolarità di questi termini, l’eco del divino. Legame che non sfugge al Festival Torino Spiritualità, che ad ogni edizione propone, in un programma ricchissimo di incontri, riflessioni e spettacoli, le sue particolari camminate spirituali, aperte – previa iscrizione – a tutti i desiderosi. Nel weekend che precede l’apertura del festival, si dirameranno per le valli di Piemonte e Valle d’Aosta otto camminate spirituali. Domenica 22 Settembre ne condurrà una il sottoscritto, al Santuario di Nostra Signora di Loreto, presso Forno Alpi Graie, in Val Grande di Lanzo. E siccome sono per “una democrazia dei piedi”, sarà un cammino intenso di suggestioni ma accessibile a chiunque: un’oretta di marcia e altrettanti momenti per intrecciare parole e voci, musica e respiri, pensieri e Storia. Naturalmente lo scrupolo impone preparazione e conoscenza. Dunque, quanto segue è il resoconto del mio primo pellegrinaggio a Nostra Signora di Loreto. Dovendolo fare in solitudine, non mi sono fatto bastare i 444 gradini che conducono al Santuario, e ho pensato di allestirmi una personale via crucis, partendo da Ceres a piedi. Avvisati che non vi proporrò nulla del genere, immaginatevi sedici chilometri di mirabile sentiero escursionistico, tra la Val d’Ala, sulla cui estremità giace Ceres, e la Val Grande, e che tra boschi, prati e radure, segue il corso del fiume Stura, costeggiando i comuni di Cantoira, Chialamberto e Groscavallo.
Da Ceres fino a Chialamberto il sentiero escursionistico (attraversato di tanto in tanto da joggers e cavallerizzi) si snoda tra bosco, spianate in prossimità delle sponde dello Stura, resti di baite e malghe abbandonate alternati a baite e malghe in uso, di recente restauro, come per una sorta di riconversione produttiva. Dove il sentiero costeggia la provinciale, incrocio anche uno stabilimento di pesca facilitata, in cui conto almeno venti enormi piscine olimpioniche piene di sventurati pescioni d’acqua dolce, bellissimi e spacciati nelle loro sinuose danze di gruppo. Incuranti della pesca facilitata, molti pescatori lungo il fiume se ne
stanno in silenzio impegnati in solitarie sessioni.
A Chialamberto è tempo di fiera, tutto il paese in festa, in un tripudio di banchi di prodotti d’ogni genere e sorta, dalle erbe officinali, ai trattori, alla giostra del tirassegno. Il sentiero completamente occupato dai commercianti, gremito di curiosi da tutte le valli limitrofe. Tra la gente, si aggira un extraterrestre, conciato da escursionista ma con una chitarra calzata nello zaino. Un’occhiata rapida e riprendo la mia lunga marcia verso Forno, passando Pialpetta e Groscavallo. In un certo senso, ogni viaggio a piedi finisce per avere molto in comune con un pellegrinaggio, se anche solo si stabilisce una meta alla quale giungere. Quella meta sarà il nostro costante oggetto d’idealizzazione. Inoltre, il cammino di per sé equipara il pellegrino al camminatore, nel suo rimettere da un lato entrambi ad esigenze e finalità primarie come bere, mangiare, riposare, e dall’altro, in quella vulnerabilità che è anche apertura al mondo. In un dare e ricevere nel tempo e nello spazio, esposti al rischio e alla possibilità, lontano dalle traiettorie irregimentate dei nostri vincoli professionali, familiari, abitudinari.
Pian della Pietra, ultima frazione di Groscavallo, s’intravede dalla provinciale. Questo sarà il punto di partenza della nostra camminata spirituale. Va bene essere spirituali ma troppo rammolliti no. Da qui, parte un sentiero ricavato da una pista di sci di fondo, che durante l’inverno torna ad adempiere la sua funzione. Forno Alpi Graie, ultimo paese della Val Grande, è molto vicino. Siamo saliti abbastanza dagli 870 metri di Chialamberto. Ora l’altitudine si aggira intorno ai 1.200.
La meta raggiunta solleva il camminatore dal “voto” che, senza confessarlo apertamente, aveva formulato di raggiungere quel posto con le sole proprie forze. Lo scopo raggiunto segna la fine del suo andare “sacro”. Ed eccolo Forno, piccolissimo borgo di poche case e un albergo. Ora che mi sembra di aver dato fondo a tutte le energie, devo ancora raggiungere il santuario! Ed eccola, lassù, piantata alla confluenza del vallone di Sea e del vallone di Gura, dall’alto dei suoi 1.340 metri, la chiesetta bellissima, immacolata: un confetto bianco, così confortante, soprattutto al pensiero di raggiungerla al termine dei 444 gradini che i devoti potevano salire anche in ginocchio. Per la cronaca, e per i compagni di passeggiata, di fianco agli scalini si arrampica una strada in salita, alternativa alla scalinata.
Primo scalino, secondo scalino, terzo scalino, quarto scalino. Ogni quattro, i pellegrini appoggiavano a terra il bordone, il bastone di
castagno, fedele compagno nei momenti del bisogno, a dare sostegno e, ancor più, il ritmo alla camminata. Quinto scalino, sesto scalino, settimo, ottavo. In questi casi, bisogna pensare a qualcosa. Qualcuno ripete ossessivamente canzoni irripetibili. Altri, generi più vicini al mantra o al raga. Per alcuni funziona meglio lasciar sciolto il cervello e viaggiare per libere associazioni. Altri ancora, va da sé, pregano. Ma io mi rifaccio alla definizione di Garth e penso che probabilmente lo sto già facendo coi piedi.
La pietà popolare ha nei secoli disseminato le valli e le montagne di Santuari, vere vestigia di devozione dal basso e, insieme, di trasporto verso l’alto, là dove trova respiro (e piena visione) il senso del divino. La stessa pietà occhieggia ne La Malora di Beppe Fenoglio: “Ci andava male: lo diceva la misura del mangiare e il risparmio che facevamo della legna […]. Per chiedere la grazia di tirare su testa, una anno nostra madre andò pellegrina al santuario della Madonna del Deserto, che è lontano da noi, sopra un monte […]. Tornò di notte, dopo quattro giorni, e la mattina si levò alla sua ora di sempre e fece il suo lavoro
di tutti i giorni. Ma non giovò, Dio non fu mai con noi”.
Solo da Ceres a Forno ho contato almeno tre Santuari nei dintorni: ricoveri di resti che partecipano del Miracolo, quando non luoghi di altrettanti eventi miracolosi. Il santuario di Sant’Ignazio a Pessinetto, il Santuario di Santa Cristina, raggiungibile attraverso un sentiero diretto che parte proprio da Ceres, e infine Nostra Signora di Loreto. Centesimo, centoduesimo, centotreesimo, centoquattresimo. Chissà perché qui in Val di Lanzo un Santuario consacrato alla Madonna di Loreto, nelle Marche. Anche quel soglio, circondato da mura bianche, luce che si riverbera dal cuore della Madonna Nera. Quella Madonna che era già comparsa immortalata in un’immagine votiva, custodita nella chiesetta intitolata alla Madonna del Rocciamelone.
La devozione alla Madonna conquistò la cima dei 3.538 metri del Roccia, allora ritenuta la più alta vetta delle Alpi, nel 1.358 quando il marchese Bonifacio Rotario d’Asti, impegnato nella Crociata e catturato dai Turchi, e ottenuta miracolosamente la libertà, giurò a se stesso di portare sulla cima della montagna inviolata il suo ringraziamento alla Vergine, per la Grazia Ricevuta.
Duecentoventesimo, duecentoventunesimo, duecentoventidueesimo. Ma questo ancora non spiega perché qui a Forno Alpi Graie una devozione così accesa nei confronti della Madonna lauretana. Lei che, a sua volta, viene ritenuta il cuore della provocazione cui ogni cristiano deve sapersi aprire: la Madonna nera, la più fedele a quella Vergine di Nazareth. Forse, per prossimità, il legame passa proprio attraverso il Rocciamelone e ad una vicenda legata ad esso. Però, per conoscerla, varranno ben 444 grandini, no? Sì, sarebbe bello raccontarla ai piedi del Santuario.
Trecentotrentunesimo, trecentotrentadueesimo, trecentotrentatreesimo. Ogni centimetro quadrato della strada e della gradinata è istoriato delle tessere del mosaico della devozione. Sulle pietre, le piastrelle, le lose, sono effigiati i nomi dei fedeli che, negli anni Novanta, hanno sostenuto economicamente il restauro del Santuario, originario del 1757.
Quattrocentoquarantadueesimo, quattrocentoquarantatreesimo. Ad attendermi non la Madonna ma la signora Maria Luisa, appassionata conoscitrice e, per l’occasione, guida speciale nella storia del santuario e nei suoi luoghi. Adiacente alla chiesa, il Museo della Fede, esposizione di tavolette votive (alcune delle quali da mozzare il fiato) offerte come atti di fede nel corso di tre secoli. La mia guida unisce espressioni e garbo d’altri tempi con una concretezza che le fa consigliare di cliccare “mi piace” alla pagina Facebook degli “Amici del santuario di Forno Alpi Graie di Groscavallo” per avere ulteriori informazioni. Sono commosso. Poi proclama: “Allora entriamo, la chiesa è divinamente bella”. Se l’esterno è mirabile, l’interno è stupefacente, come una sinfonietta per occhi e sensi, nel suo sposare alla perfezione le architetture interne ai centinaia di quadretti votivi appesi in ogni dove. E poi, la Vergine di Loreto, incorniciata in una pala d’altare. Poco defilati, vengono custoditi anche i due antichi dipinti che danno ulteriore radice all’origine del santuario e del culto. Siamo d’accordo: è il segreto di Pulcinella, perché vi basterebbe guardare su internet, ma non fatelo e venite scoprirlo coi vostri occhi e coi vostri piedi il 22 settembre.
Orlando Manfredi
Playlist:
– www.torinospiritualità.org
– P.G.R., Per Grazia Ricevuta, 2002, Universal
– Antonella Ruggero, Sacrarmonia, 2004, Egea
– Le tre sorelle, Compagnia Artistica Paranza del Geco, 2013
– Giovanna Marini, Chiesa Chiesa, 1965, Ala Bianca Recors
– Nick Cave, Your funeral my trial, 1986, Mute Records
– Beppe Fenoglio, La malora, Einaudi
– Emeric Fisset, L’ebbrezza del camminare. Piccolo manifesto in
favore del viaggio a piedi, 2008, Ediciclo Editore