OGM, il Parlamento UE introduce il “criterio ambientale”
Sugli OGM in Europa il braccio di ferro tra le diverse istituzioni UE sembra giunto ad una conclusione. In settimana la Commissione Ambiente dell’Europarlamento ha concesso il via libera alla nuova normativa che prevede la possibilità per i 28 Stati membri di limitare o bandire la coltivazione di Organismi Geneticamente Modificati sul proprio territorio. Manca ora solo l’accordo di compromesso sul testo finale della Direttiva. Un dossier che interessa molto all’Italia, intenzionata a chiuderlo prima del termine del suo semestre di presidenza dell’Unione Europea. Il ruolo della presidenza italiana sarà quindi decisivo per fare in modo che la proposta non venga annacquata e il testo non si trasformi in un cavallo di Troia durante le negoziazioni in sede di trilogo tra la Commissione, il Consiglio e il Parlamento.
L’Assemblea ha decisamente migliorato la proposta del Consiglio introducendo quello che si potrebbe definire un “criterio ambientale”. Una motivazione green che può essere invocata per applicare uno stop nazionale agli OGM che si aggiunge a quelli socioeconomici, di uso dei terreni e pianificazione urbana già contemplati dalla norma. Ragioni, quelle ambientali, che erano state incredibilmente escluse dal testo precedente, provocando accese reazioni.
Soddisfatte le associazioni ambientaliste, Greenpeace in testa. Secondo l’organizzazione, infatti, il voto della Commissione Ambiente dell’Europarlamento fornisce agli Stati membri basi legali solide per bandire la coltivazione di OGM dai propri territori, rendendo difficile per l’industria biotech contrastare le legislazioni nazionali. Secondo Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura Sostenibile di Greenpeace Italia, “la decisione degli Eurodeputati assicura ai cittadini europei un’agricoltura e un ambiente privi di OGM. Hanno radicalmente migliorato il testo adottato dal Consiglio che era stato fortemente influenzato dalla linea pro OGM del Governo britannico”.
Soddisfatto anche il Presidente di Slow Food Carlo Petrini, che afferma: “I cittadini europei vogliono che le politiche alimentari in Europa siano basate sulla tutela della biodiversità agroalimentare e sulla valorizzazione dei produttori di piccola scala. Chiedono, inoltre, sempre maggiore trasparenza, per avere la possibilità di scegliere il proprio cibo attraverso una reale sovranità alimentare nel proprio Paese”.
Ma la riforma ha in sé un punto debole. E’ senza dubbio una conquista (ancora più grande per quei Paesi che già da tempo hanno detto no agli OGM), ed è anche vero che, forse, è meglio che ognuno faccia per sé piuttosto che aspettare ancora anni per una Direttiva che vieti questo tipo di coltura sull’intero territorio dell’Unione Europea (e che probabilmente mai vedrà la luce perché mai tutti i 28 Stati Membri si troveranno d’accordo). Ma permettere agli Stati Membri di prendere decisioni individuali, basate su specifiche necessità nazionali e considerazioni locali, rende di nuovo le politiche UE non omogenee e, in un certo senso, poco ambiziose. Si potrebbero rispettare le caratteristiche nazionali anche con una maggiore leadership da parte dell’UE.
Se da un lato sono condivisibili le parole del Presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo, che sulla questione afferma “L’Europa da un lato, le Alpi e il mare dall’altro, renderanno l’Italia finalmente sicura da ogni contaminazione”, permangono tuttavia alcune considerazioni: la coltivazione di piante transgeniche nell’Unione Europea interessa una superficie totale di appena 148mila ettari, seminati nel 2013, la quasi totalità in Spagna. Perché allora non dare un “colpo di coda”, con un segnale forte che interpreti davvero la volontà dei cittadini UE? Al netto della decisione assunta bisognerebbe ora lavorare in sede europea sul grande tema dell’informazione ai consumatori. L’etichettatura dei prodotti alimentare è una sfida che attende i decisori di Bruxelles. Molti cittadini, ad esempio, non sanno che ad un prodotto biologico con il logo europeo è concesso, oggi, risultare contaminato da OGM fino allo 0,9%. Un’anomalia e un controsenso, perché se un prodotto è realmente biologico dovrebbe escludere anche questo tipo di contaminazioni accidentali. Il biologico diventa così sicuro solo se proveniente dai Paesi che, alla luce della nuova normativa, diranno no alle coltivazioni OGM. Il secondo tema di intervento comunitario dovrebbe, infine, riguardare i mangimi animali. Al di fuori del comparto biologico, è difficile infatti trovare mangimi di mais o soia con un contenuto OGM al di sotto dello 0,9%. Si deve quindi pensare ad una etichettatura completa della filiera di carne e formaggi, compresi i foraggi usati.
Beatrice Credi