“Non con i miei soldi!”, il nuovo sussidiario per difendersi dalla finanza rapace
Il 16 giugno uscirà in libreria “Non con i miei soldi! Sussidiario per un’educazione critica alla finanza“, edito da Altreconomia in collaborazione con Banca Etica (144 pagine, 13,00 euro). L’attuale sistema finanziario – ormai ce ne siamo accorti tutti – si è dimostrato infatti inefficiente e insostenibile, e molto simile a un casinò dove pochi si arricchiscono, scommettendo sul fallimento di interi Paesi, investendo in progetti nocivi per l’ambiente e le persone o speculando sul cibo, fino all’esplosione della prossima bolla. “Da un lato – scrivono gli autori, Ugo Biggeri, Andrea Baranes, Andrea Tracanzan e Claudia Vago – Stati e banche centrali continuano a inondare di liquidità banche private e finanza; dall’altro, investimenti che sarebbero tanto essenziali quanto urgenti non trovano i capitali necessari. Basterebbe pensare alle questioni climatiche, alla riconversione ecologica dell’economia, alla mobilità sostenibile, l’efficienza energetica, la ricerca e la formazione”. Il libro nasce come prosecuzione dell’omonima campagna “Non con i miei soldi!”, un progetto di Banca Popolare Etica e Fondazione Culturale Responsabilità Etica, nata nel 2011 dai soci e clienti di una banca “insolita”, per educare in modo critico alla finanza e raccontare non solo che cosa “non va” nella finanza globale, ma che non tutte le banche sono uguali e che tutti possiamo fare qualcosa di concreto per costruire un futuro diverso. Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo in anteprima il paragrafo “I soldi non dormono“, tratto dal 2° capitolo del libro.
I nostri soldi, depositati in banca o affidati a un gestore finanziario, non dormono. Anzi, sui moderni mercati non dormono mai. Vengono impiegati per comprare, commerciare o finanziare qualcosa, che sia una cosa reale come un paio di scarpe o una quota di una qualche scommessa organizzata da un computer dall’altra parte del mondo. Come abbiamo visto, c’è una bella differenza tra un impiego o l’altro. Chi di noi presterebbe i propri soldi a chi intendesse giocarseli al casinò, o investirli in mine antiuomo? Eppure quanti di noi domandano alla banca o al gestore l’uso che ne viene fatto?
I nostri risparmi, incanalati tramite conti correnti, fondi pensione e di investimento, possono avere un enorme impatto, tanto in positivo quanto in negativo. Possono essere impiegati per l’economia locale o finire in qualche paradiso fiscale, sostenere la cooperazione sociale e l’agricoltura biologica o il commercio di armi, e via discorrendo. Perché, una volta giunti nel sistema finanziario, mi comporto come se non fossero più soldi miei? L’esempio del casinò o delle mine antiuomo può sembrare eccessivo, ma la realtà è esattamente questa. Nella vita quotidiana prendiamo decisioni, in particolare riguardo acquisti, consumi, stili di vita, in base a determinati valori e convinzioni. Però, nello stesso momento, con i nostri soldi sosteniamo attività che sono in completa antitesi con questi stessi valori.
Pochi anni fa 27 milioni di italiani votano un referendum per fermare il nucleare una volta per tutte. Quanti di loro, tramite i propri risparmi, stanno finanziando imprese e progetti legati al nucleare? Ancora, magari giriamo in bici, rinunciamo all’auto e abbiamo anche investito per una maggiore efficienza energetica della nostra abitazione. Però i nostri risparmi, affidati a un gestore finanziario, finiscono in società petrolifere e ci danno un rendimento che dipende da quante tonnellate di petrolio verranno bruciate nei prossimi anni. Ci siamo attivati in una campagna contro la trivellazione delle nostre coste alla ricerca di idrocarburi o contro l’alta velocità, ma stiamo finanziando l’impresa che condurrà queste stesse trivellazioni o costruirà la linea ferroviaria. Gli esempi potrebbero essere molti altri.
La critica al finanziamento di progetti con ricadute negative sull’ambiente o sulla società è probabilmente più immediata, ma – considerato quello che è diventata la finanza oggi – è ancora più importante tornare sulla questione della speculazione. Il PIL – ovvero il valore dell’economia in un anno – cresce nel mondo tra il 2 e il 3%, ancora meno in Europa, per non parlare dell’Italia. Se tutti pretendiamo il 5% (o più) dai nostri investimenti finanziari, forse abbiamo un problema. Se la finanza deve crescere a un ritmo costantemente superiore a quello dell’economia di cui dovrebbe essere al servizio, le possibilità sembrano essere unicamente due. La prima che la finanza estragga sempre più “valore” da qualsivoglia attività umana. La seconda è che la finanza si stacchi sempre di più dalla realtà, creando delle bolle costruite sul nulla. Oggi sono vere entrambe le affermazioni. L’obiettivo delle imprese non è uno sviluppo di lungo periodo, ma massimizzare nel brevissimo tempo il valore delle proprie azioni, per soddisfare le richieste degli investitori.
Ma non basta ancora. Con la finanziarizzazione dell’economia ogni attività, compresi i servizi pubblici ed essenziali, deve avere lo scopo primario di generare profitti. Ma non basta ancora. Come vedremo meglio in seguito, dal cibo al clima, tutto deve passare dal tritacarne della finanziarizzazione per potere estrarre i profitti necessari a puntellare un sistema sempre più ipertrofico e sempre più instabile. Ma non basta ancora. Ed ecco allora che la finanza deve staccarsi sempre di più dall’economia, semplicemente perché l’insieme delle attività umane non è sufficiente a placare il bisogno di profitti del Moloch finanziario. Una montagna di denaro che deve generare altro denaro in tempi sempre più brevi. Non siamo in crisi perché non ci sono soldi, siamo in crisi perché ce ne sono troppi, ma sono (quasi) tutti dalla parte sbagliata.
Anche senza considerare i limiti ambientali e biologici di un pianeta finito, la finanza deve progressivamente staccarsi dai limiti produttivi delle attività umane. Non basta devastare il pianeta e non basta nemmeno finanziarizzare ogni possibile attività. Occorre inventarsi nuovi giochi e nuove scommesse che possano assorbire l’incredibile eccesso di liquidità alla continua ricerca di profitti sempre maggiori. Più avanti incontreremo diversi strumenti finanziari che non hanno assolutamente nessun legame con il mondo reale, ma che sono delle pure scommesse che possono temporaneamente assorbire tale eccesso di denaro. Strumenti che spesso finiscono nei nostri portafogli di investimento, anche a nostra completa insaputa.
Questo divario però non può crescere indefinitamente. Alla fine, la distanza tra ricchezza finanziaria “virtuale” ed economia reale diventa eccessiva. E allora le bolle scoppiano, e qualcuno deve pur rimanere con il cerino in mano e pagare il conto. Immagino abbiate indovinato. Solitamente il conto non lo pagano quelli che hanno creato il disastro, ma lo paghiamo noi. O perché vediamo i nostri risparmi crollare; o perché gli Stati devono intervenire per salvare le istituzioni finanziarie “troppo grandi per fallire” (e intervengono chiaramente con i soldi delle nostre tasse); o perché siamo in crisi e dobbiamo quindi stringere la cinghia e magari accettare austerità e tagli ai servizi essenziali e ai nostri diritti. Dobbiamo informarci e occuparci di finanza, perché, volenti o nolenti, la finanza si occupa di noi. Visto anche il peso che ha assunto all’interno della nostra società, abbiamo non solo il diritto ma per molti versi il dovere di domandarci come vengono impiegati i nostri soldi. Dobbiamo smetterla di essere, oltre che vittime, complici inconsapevoli di questo sistema. Dobbiamo smettere di alimentare una “redistribuzione al contrario” della ricchezza in cui i nostri risparmi, moltiplicati per milioni di clienti, risparmiatori e piccoli investitori, vanno ad alimentare un gioco in cui vincono i soliti pochissimi noti, sulla nostra pelle. Per interrompere il gioco, e per far sì che al contrario possiamo contribuire a finanziare attività utili e con ricadute positive, il primo passo è capire il funzionamento del sistema finanziario. Che cosa fanno i nostri soldi. E cosa non dovrebbero fare.
Ugo Biggeri, Presidente di Banca popolare Etica
Andrea Baranes, Presidente della Fondazione Culturale Responsabilità Etica
Andrea Tracanzan, Responsabile Ufficio comunicazione di Banca popolare Etica
Claudia Vago, Responsabile campagna “Non con i miei soldi!”