“Nero come un buco nero”: nonno Gino alla scoperta dei misteri dell’Universo
È estate, il sole illumina il cielo, la spiaggia è infuocata: una giornata di giochi al mare e tuffi in acqua si trasforma per Bernardo, Gregorio e i loro due amici in un’avventura inaspettata, alla scoperta dei segreti dei buchi neri, gli strani oggetti celesti che nessuno ha mai visto ma che senza dubbio esistono. Per la rubrica “Racconti d’Ambiente“, pubblichiamo oggi un estratto del libro “Nero come un buco nero“, di Elena Ioli, da poco pubblicato dalla casa editrice Dedalo. Il volume è destinato a tutti i lettori, piccoli e adulti, interessati a saperne di più sugli oggetti più affascinanti e misteriosi dell’Universo. Nel libro il nonno Gino, professore di astronomia in pensione, fa da guida all’esplorazione dell’interno di un buco nero, spiega perché sono neri, perché non sono dei buchi, come sono nati e come si pensa che moriranno. E persino cosa c’è dall’altra parte di un buco nero.
Nonno Gino – Una teoria è un po’ come l’insieme delle regole di un gioco, il gioco della scienza. Albert Einstein, uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, ha proposto la teoria della relatività, per cercare di spiegare meglio cosa sono lo spazio e il tempo, e come si comportano. Per esempio, dice che il tempo è relativo, cioè non scorre allo stesso modo per tutti, ma è come un elastico: si allunga o si accorcia a seconda della velocità di chi lo misura… Pensate che secondo un detto che risale al 1919, «nel mondo solo tre persone capiscono la relatività».
Bernardo – Tutto chiaro! Ehm, a parte me e Ainstein (o come si chiama), chi è il terzo?
Gli altri sghignazzano, Corrado urla «Io!», anche se non sta ascoltando la conversazione, perché è tutto intento a scavare una buca profonda e ogni tanto chiede che qualcuno vada ad aiutarlo…
Nonno Gino – Quante domande bambini, non c’è mai abbastanza tempo!
Gregorio, che lo ascolta rapito, replica – Se potessimo fare una magia e salire su un’astronave velocissima, il tempo passerebbe più lentamente e ce ne avanzerebbe un po’ per continuare ad ascoltarti, nonno…
Federica – Ma oggi c’è qualcuno che dubita che i buchi neri esistano?
Nonno Gino – No, oggi tutti accettano il fatto che i buchi neri abbiano il loro posto in astronomia. Sono gli oggetti più misteriosi, proprio perché impossibili da osservare direttamente, e i più autorevoli rappresentanti di un Universo violento.
Bernardo, che quando pensa a una cosa ha sempre bisogno di immaginarsela, si inserisce nella discussione ed esclama – Aspetta un attimo, nonno. Finora ci hai raccontato che nell’Universo ci sono tanti oggetti, e i più bizzarri sono proprio i nostri buchi neri. Ci hai detto come deve essere una stella per diventare un buco nero, ci hai detto che nessuno lo può vedere come io adesso vedo il mare, la spiaggia e i miei amici. Ma qualcuno ha scoperto come è fatto un buco nero? Cioè dove va a finire tutto quello che entra nel buco nero?
Federica – Forse c’è un buco nero invisibile anche nella lavatrice, che risucchia i calzini: è lui il responsabile di tutti quelli spaiati!
Gli altri sghignazzano divertiti.
Nonno Gino – Non è semplice descrivere con le parole qualcosa che nessuno ha mai visto, anzi, che nessuno potrà mai vedere. Gli astronomi rappresentano un buco nero così:
Al centro c’è una cosa che gli scienziati chiamano singolarità: questa parola difficile indica un punto con una densità quasi infinita.
Federica – Densità infinita? Come quando per tornare a casa da scuola siamo in troppi dentro l’autobus, tutti stretti in piedi e non c’è spazio nemmeno per allargare le braccia? La mamma dice che siamo stipati «come sardine in scatola»!
Nonno Gino – Brava, sì, e a dire il vero ancora più stretti di così! Questa misteriosa singolarità è racchiusa nel disegno da un’immaginaria superficie sferica chiamata orizzonte degli eventi. Se qualcosa o qualcuno supera l’orizzonte degli eventi sarà catturato per sempre dal buco nero…
Bernardo – Sì, ma quanto è grande questa sfera?
Nonno Gino – Beh, dipende dalla massa del buco nero: tanto più grande è la massa del buco nero, tanto più grande è il raggio dell’orizzonte. Per darvi un’idea, facciamo un esperimento mentale, fatto cioè con la mente anziché in laboratorio, di quelli che piacevano tanto ad Einstein: pensiamo a una situazione che non possiamo sperimentare. Se potessimo comprimere il Sole fino a farlo diventare un buco nero, il suo orizzonte avrebbe un raggio di circa 3 kilometri. Se invece la massa del buco nero fosse 100 volte quella del Sole, anche il raggio del suo orizzonte sarebbe 100 volte più grande, cioè 300 kilometri. Dal canto suo, la Terra, se fosse compressa fino a diventare un buco nero, avrebbe un raggio di meno di 1 centimetro, vi ricordate?
Bernardo sta cercando di immaginare punti di densità infinita, circondati da superfici che sarebbe meglio non oltre-passare… Ma se poi qualcosa o qualcuno fa un salto al di là dell’orizzonte, cosa potrà mai succedere?
Bernardo – Nonno, ma se un astronauta superasse l’orizzonte degli eventi, cosa succederebbe? Sarebbe polverizzato?
Nonno Gino – Per cercare di spiegarvelo, proverò a usare un’analogia, cioè a fare un confronto. L’analogia è utile, quando non vogliamo usare le formule matematiche!
Federica – Esatto, siamo in vacanza, niente matematica!
Nonno Gino – Allora vi propongo un’analogia che circola fra i fisici teorici, quelli che oggi studiano i buchi neri. Sapete, i fisici, anche se non hanno problemi a lavorare con le formule e le equazioni (è il loro lavoro!) hanno bisogno, come tutti noi, di immaginare le cose, anche le più astratte e difficili che studiano. Provate a immaginare un lago, dove vivono tanti pesciolini. Il lago è un bel posto in cui vivere: l’acqua non è troppo fredda, è normalmente calma, non ci sono grossi predatori che danno del filo da torcere ai pesciolini. Però… al centro del lago c’è un grosso pericolo: un buco attraverso il quale l’acqua va a finire in una grotta sotterranea dove si trovano delle rocce aguzze e taglienti. Quando il pesciolino oltrepassa un punto, che chiameremo «punto di non ritorno», per lui non c’è scampo: non potrà mai risalire la corrente che lo trascinerà inesorabilmente verso le rocce.
Gregorio – Ho capito, il pesciolino è come l’astronauta, il buco nel lago è il buco nero, il punto di non ritorno è l’orizzonte degli eventi e le rocce mortali rappresentano la singolarità!
Nonno Gino – Ecco svelati tutti gli attori sulla scena dell’analogia. Come lo sfortunato pesciolino, un astronauta in caduta in un buco nero verrà risucchiato verso la singolarità, e qui sarà schiacciato e compresso con una forza e una pressione infinite.
Gregorio – Ma prima di questa ingloriosa fine, passerà un po’ di tempo, no? Cioè, cosa gli succede quando supera l’orizzonte e prima di…
Bernardo – Sfracellarsi sulle rocce?
Gregorio – E… satto…
Nonno Gino – Quello che accadrebbe a un astronauta dentro un buco nero possiamo solo immaginarlo. Dal momento che nulla e nessuno può fare ritorno da quel luogo, non è possibile mandare qualcuno in esplorazione e sperare che torni a raccontarci cosa ha visto. La forza di gravità vicino all’orizzonte degli eventi è così intensa che, immaginando di cadere nel buco a testa in giù, la testa sarebbe sottoposta a una forza molto, molto maggiore di quella che attrae i piedi, e l’astronauta in un certo senso sarebbe stirato come uno spaghetto… Ma in realtà le cose sono ancora molto, molto più complicate. Secondo uno scienziato che ha studiato i buchi neri per tutta la sua vita, una delle domande più difficili è proprio: «Che cosa accade a qualcuno che oltrepassa l’orizzonte degli eventi?». E, aggiunge, «qualunque sia la vostra risposta, è probabilmente sbagliata».
Bernardo – Io, da grande, lo scoprirò. Anzi ragazzi, lo scopriremo insieme, ci state? C’è un unico problema: chi andrà in missione verso il buco nero?
I quattro amici si guardano in silenzio, l’aria un po’ smarrita di chi insegue col pensiero l’immagine di luoghi e situazioni lontanissimi da tutto ciò che conoscono. Un gabbiano in planata emette un grido stridulo che distoglie Gregorio dai suoi pensieri.
Gregorio – Ma come facciamo a vedere qualcosa che non si può vedere?
Il nonno Gino sorride e inizia a raccontare…
Nonno Gino – Credo che abbiate capito, ragazzi miei, che il nostro Universo non solo è più strano e complicato di quanto immaginiamo, ma è più strano di quanto possiamo immaginare! Ed è teatro di situazioni molto violente…
Corrado, simulando una mossa di kung fu – Cosa vuoi dire? Gli oggetti celesti fanno a botte?
Nonno Gino – Beh, in un certo senso sì. L’Universo è violento perché le stelle spesso muoiono in modo traumatico, perché avvengono esplosioni incredibili, perché ci sono oggetti densissimi che catturano tutto quello che gli passa molto vicino.
Elena Ioli*
* Insegna fisica nelle scuole di secondo grado ed è autrice di manuali di fisica per la scuola. Ha studiato i buchi neri all’Università di Bologna e all’École Normale Supérieure di Parigi.