Mossi & Ghisolfi: verso la prima bioraffineria da canna nostrana
Greenews.info si prepara a celebrare il 150°anniversario dell’Unità d’Italia con un caso esemplare di eccellenza nazionale, quello del Gruppo Mossi & Ghisolfi, candidato a diventare uno dei leader mondiali nella cosiddetta “chimica verde”. La rubrica “Campioni d’Italia“ proseguirà, dal 23 marzo, ogni mercoledì fino alla fine dell’anno, con nuove storie di successo della green economy italiana.
La posa della prima pietra di cantiere sembra ormai imminente, ma Giuseppe Fano, Corporate Director External Relations della Mossi & Ghisolfi, per scaramanzia, non si sbilancia. Dopo mesi di valutazioni politiche, procedure amministrative e dibattiti pubblici al limite del cavillo (la lignina è scarto di lavorazione o rifiuto?), la bioraffineria di Crescentino, in provincia di Vercelli, sembra giunta al nastro di partenza. Stiamo parlando della prima raffineria al mondo in grado di processare la canna dolce nostrana, la Arundo donax, per trasformarla in biocarburante “di seconda generazione”, ovvero in un combustibile pulito ottenuto da piante che non sottraggono terreni e risorse idriche preziose all’agricoltura.
E ‘il risultato di 120 milioni di euro di investimenti e anni di ricerca, sviluppati nel centro sperimentale di Rivalta Scrivia, vicino a Tortona, in collaborazione con il CNR, l’Enea, il Politecnico di Torino e con il supporto della Regione Piemonte.
Ma la Mossi & Ghisolfi nasce in realtà, nel dopoguerra, come azienda specializzata nella produzione di contenitori in polietilene e poliestere per farmaceutici, detergenti e cosmetici; nei primi anni ’70 diventa il primo produttore italiano di imballaggi in plastica, nel 2000 acquisisce tutte le attività della Shell per la produzione del PET, (ritrovandosi così a gestire stabilimenti in Messico, negli Stati Uniti e in Brasile) e infine sposta il core business dalla realizzazione dei contenitori in PET alla produzione stessa del polimero e degli impianti, acquistando, da un altro colosso come Mitsubishi, la Chemtex.
Qual è il segreto che ha consentito, a un’azienda famigliare, di diventare prima un leader mondiale del settore e poi, giunta in cima, di ripartire da zero per affrontare una nuova sfida come quella dei biocarburanti e della chimica verde? Non è un segreto, ma si chiama innovazione continua. E risiede nel DNA stesso del fondatore, Vittorio Ghisolfi, uno di quegli imprenditori piemontesi vecchia maniera, poco più giovane di Michele Ferrero, ma altrettanto geniale e visionario.
D) Dott. Fano, è questa la carta vincente di M&G?
R) Certamente, si tratta di una realtà industriale che ha mantenuto una continuità di visione strategica dal 1958 e si è dimostrata capace di traguardare il futuro con 10 anni di anticipo. M&G è diventata il primo grande gruppo chimico privato in Italia non solo grazie a fusioni e acquisizioni, ma per quella capacità di sviluppare internamente innovazione tecnologica, che le ha consentito di superare diverse barriere scientifiche.
D) Questo vale anche per i biocarburanti?
R) Sì, il bioetanolo, carburante rinnovabile da miscelare con le benzine è un prodotto noto, in Brasile lo si fa dagli anni ’70. E anche i biocarburanti di “seconda generazione” si producono ormai in varie parti del mondo. Ma la capacità del Gruppo M&G è stata quella di renderlo industrializzabile su larga scala e quindi accessibile a dei costi competitivi con la benzina, senza bisogno di incentivi. Il fatto di aver investito, in maniera lungimirante, già 5/6 anni fa, in questa ricerca ha consentito di comprendere meccanismi di fermentazione di zuccheri da materiale ligneo-cellulosico assolutamente innovativi, che utilizzano procedimenti termo-meccanici, invece che chimici, aumentando l’efficienza e riducendo l’impatto ambientale.
D) Ci spieghi meglio…
R) Il progetto PROESA, sviluppato in collaborazione con Enea e col Politecnico di Torino, ha fatto sì di capire come smembrare la biomassa nelle sue componenti – principalmente cellulosa e lignina – in modo da valorizzarle tutte quante e poter attaccare con enzimi anche le lunghe catene di C5, rendendole fruibili nella forma di zuccheri semplici.
D) La direttiva 2009/28/CE, nata per promuovere il ricorso alle fonti rinnovabili di energia, ha fissato, per il settore europeo dei trasporti, l’obiettivo del 10% di carburanti da fonti rinnovabili entro il 2020, a cui dovrà obbligatoriamente attenersi ciascun stato membro. Ma se paragonati ai tempi che intercorrono tra una direttiva europea e il suo recepimento, 5 anni per sviluppare una ricerca di questo tipo sembrano pochi. Ancora una volta l’industria è più veloce della politica?
R) In M&G questi risultati sono frutto di uno studio attento e costante dello stato dell’arte delle tecnologie disponibili e di una capacità, ormai sviluppata, di intuire in anticipo quali sono i filoni di ricerca più promettenti. Questo significa coltivare, al proprio interno, le competenze offerte da team di ingegneri, biologi, chimici e tecnici e saper valorizzare le sinergie pubblico-privato (collaborazioni con atenei, centri di ricerca ecc.), per potersi porre sopra le spalle dei giganti.
D) Il grande traguardo (o nuovo punto di partenza) sarà dunque la bioraffineria di Crescentino, nell’ex area Teksid?
R) Noi siamo pronti a partire. Abbiamo ritenuto importante seguire un procedimento di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale, N.d.R.) volontaria, pur trattandosi di un impianto pilota che non l’avrebbe richiesta per legge. Questo ha allungato i tempi ma va nella direzione della massima trasparenza nei confronti delle comunità locali. Ora attendiamo l’esito delle valutazioni di competenza comunale, ma ormai dovremmo essere prossimi alla partenza e la costruzione della bioraffineria non dovrebbe richiedere più di 12 mesi – quindi saremo in grado di produrre dalla primavera 2012.
D) Sostenibilità ambientale del carburante, sostenibilità paesaggistica della raffineria (che sorgerà nel complesso industriale dismesso dell’ex area Teksid). Cosa mi dice circa la sostenibilità economica dell’operazione?
R) Il progetto nasce da un soggetto privato e deve dunque avere necessariamente la sua sostenibilità industriale, ovvero la capacità di generare reddito senza ricorrere a sovvenzioni. Questo ha comportato la necessità di essere competitivi circa i costi. Gli altri progetti attualmente in corso sul bioetanolo, a livello mondiale, non sono ancora industrializzabili perché comportano dei costi non sostenibili economicamente dal produttore. Noi siamo invece riusciti a ridurre questi costi, anche se i benefici non si vedranno immediatamente sull’impianto pilota, che avrà una taglia di 45.000 tonnellate di produzione all’anno, mentre per essere realmente competitivi crediamo si debba arrivare a 150/200.000 tonnellate. Nonostante ciò, grazie alle tecnologie sviluppate e ai minori costi di trasformazione, riusciremo ad avere, da subito, un prezzo molto contenuto del prodotto finale.
D) Torniamo alla sostenibilità ambientale. Come si concretizza?
R) Innanzitutto nella capacità di sequestro della CO2. E qui non ci fermiamo all’obiettivo della direttiva europea, che prevede il 60% di sequestro conseguibile al 2018 per poter essere considerato carburante “bio”, ma l’impianto di Crescentino, pur essendo sperimentale, ha già ricevuto la certificazione dell’Enea per una capacità di sequestro dei gas serra superiore al 70%, e intende puntare all’80/90%. Ma c’è anche un altro aspetto importantissimo di sostenibilità ambientale, ed è la capacità di uso razionale del territorio. In Italia non ci si può infatti permettere di abusare del territorio, da un punto di vista paesaggistico, ma anche di alternative land use. Per questo abbiamo valutato attentamente la tipologia di biomassa da utilizzare, affinché avesse la capacità di crescere su terreni marginali locali e quindi di essere a filiera corta, pur senza entrare in conflitto con le produzioni alimentari e zootecniche. Ma abbiamo anche ritenuto coerente non consumare terreno vergine, individuando come sito l’area industriale dell’ex stabilimento Teksid, che è stato recuperato e in buona parte bonificato.
D) Quali altri sviluppi ha in serbo Mossi & Ghisolfi nell’ambito della “chimica verde”?
R) La prossima sfida sarà individuare delle molecole, dei glicoli, alla base della produzione del PET, che abbiano un’origine vegetale e quindi sostituire la parte di barile che viene utilizzata nella petrolchimica con la biomassa. Del resto il costo del prodotto è dato al 60% da fattori esogeni, non controllabili dall’azienda, come appunto il costo del petrolio. Affrancarsi da questa situazione consentirebbe dunque di ottenere delle efficienze, nel pieno interesse del produttore, che ha già fatto, ad oggi, il massimo possibile per ottimizzare il restante 40% dei costi. Questo sarà sicuramente uno dei prossimi filoni di ricerca.
Andrea Gandiglio