Molto è cambiato, ora qualcosa sta cambiando. Spunti dal maggio 2016
Cosa c’entrano gli Alpini, i petrolieri, i cellulari, il neo presidente austriaco Van der Bellen e il kebab? Provo a spiegarvelo tra le righe di questa mia rubrica volutamente sconclusionata. Partendo dall’Adunata di Asti, quando un vecchio amico della Scuola Militare Alpina, in un genuino slancio di nostalgia (rafforzato dall’accento veneto), ha regalato a noi commilitoni una perla di saggezza popolare: “Ah che bello che era, senza kebabbari e senza cellulari!“.
Un’osservazione semplice, che però mi ha colpito per la sintesi estrema con cui racchiude almeno tre grandi questioni contemporanee: la sensazione che in passato, o comunque “prima della crisi”, si stesse meglio (abbastanza ricorrente nella storia, sopratutto quando si inizia ad invecchiare, ma qualche volta vera); la questione dell’immigrazione di massa mal gestita dall’Europa e dell’assedio alle tradizioni locali (simboleggiata dalla figura stereotipata del “kebabbaro”) e lo stress della vita di oggi, al ritmo di sms e email che minano la salute fisica e psichica e, in qualche misura, rappresentano l’inquinamento “a base tecnologica” tout court, contrapposto – nell’immaginario alpino – al candore delle montagne incontaminate e povere di tecnologia.
Per capire se nel 1996, quando ventenne cantavo “Sul cappello” per i sentieri della Val d’Aosta, si stesse effettivamente meglio dovrei approfondire un po’i dati macroeconomici. Io stavo sicuramente meglio, ma non saprei estendere questa mia condizione personale all’intera popolazione italiana. Posso solo notare che il debito dello Stato Italiano vent’anni fa era al 120,2 % del PIL, mentre oggi è intorno al 132,7 %. Sul fatto, invece, che si stesse decisamente meglio senza telefoni cellulari non ho alcun dubbio. Quella di dover pianificare prima e in maniera più precisa gli appuntamenti, per evitare di stare ore sotto la pioggia ad aspettare gli amici, è un’abitudine che farò fatica a spiegare ai miei figli, “nativi digitali”. Ma questo è nulla se pensiamo, più seriamente, ai ben noti problemi di inquinamento legati al consumo di massa (quello dei 2/3 telefonini a testa, giusto per usare un’immagine evocativa).
Ieri a Nairobi 2.300 delegati da 170 paesi del mondo si sono riuniti, in occasione della seconda Assemblea dell’ONU sull’Ambiente, organizzata dall’UNEP, proprio per trovare nuove vie allo sviluppo sostenibile, attraverso quello che è stato definito il “Parlamento Mondiale dell’Ambiente“, che si confronterà fino al 27 maggio. La situazione è, senza mezzi termini, tragica: secondo le stime UNEP il deterioramento delle condizioni ambientali uccide 234 volte più delle guerre! Un dato allarmante, che avevo già ricordato in un altro articolo, paragonando il cancro alla “Grande Guerra” del ’15-18. “Gli impatti ambientali sono responsabili della morte di più di un quarto di tutti i bambini di età inferiore ai cinque anni”, si legge, tra le altre cose, nel rapporto “Healty environment, Healty People“.
In un contesto mondiale come questo, vedere eletto presidente della Repubblica austriaca un ecologista di lunga data come Alexander Van der Bellen, è un piccolo ma significativo segnale di speranza e di “inversione” verso il futuro. Pur eletto per pochi voti e più per ragioni di interpretazione più mite delle politiche migratorie (ecco ritornare la terza questione evidenziata in partenza) – rispetto all’ultranazionalista Hofer – che per ragioni ecologiste, Van der Bellen è comunque il primo candidato Verde in Europa ad essere eletto alla massima carica dello Stato. E questo vorrà ben significare qualcosa. Forse che the times they are a-changin’…
E proprio mentre mettevo il punto a questa breve riflessione in libertà, l’occhio mi è caduto su un’ANSA di ieri pomeriggio: “Forse da quest’anno potete non chiamarci più petrolieri, siamo orgogliosi del nostro passato, ma dobbiamo guardare avanti e ormai siamo un’azienda green, vogliamo essere l’ENI del vento“. Lo ha dichiarato il presidente dell’(ex) compagnia petrolifera ERG, Edoardo Garrone. Allora è vero, the answer, my friend, is blowin’ in the wind…
Andrea Gandiglio