Mattone su Mattone… La rivoluzione silenziosa in un blocco di terra cruda
Il Senegal è diventato terra di cementifici e le periferie urbane sono una desolante sequenza di abitazioni squallide nell’estetica e poco salubri per gli inquilini: non vengono intonacate e formano un grande e opprimente “mare grigio” di cemento. Ma c’è un’alternativa per questi paesi che viene da lontano e affonda le radici nel sapere costruttivo locale, quella dei blocchi di terra cruda, che permettono oltre ad un risparmio sulla materia prima, la possibilità dell’autocostruzione grazie alla facilità della lavorazione.
Ci credeva moltissimo Roberto Mattone – docente di Tecnologia dell’Architettura, Produzione Edilizia e Tecnologie per i Paesi in Via di Sviluppo presso il Politecnico di Torino – scomparso nel 2008, ma che ha lasciato in eredità sia opere (in Brasile, Argentina, Cuba e Burkina Faso) che un percorso professionale, coltivato tuttora dall’associazione non-profit che porta il suo nome fuso con l’elemento base dell’edilizia tradizionale: Mattone su Mattone. Una onlus che dal 2009 ha continuato la sua opera garantendo il diritto ad una casa semplice ma salubre a persone povere in giro per il mondo e promosso le tecniche di autocostruzione che hanno portato alla nascita di start up in grado di generare lavoro nei Paesi più poveri.
Il cuore – in tutti i sensi – dell’associazione, è oggi la signora Gloria Pasero, vedova del professore, tesoriera dell’associazione ma soprattutto la combattente sempre in prima linea per promuovere il pensiero e l’azione del marito. L’età avanza, ma lei prosegue instancabile nei tanti progetti aperti nel pianeta: “Ricevo molto più di quello che do, non mi fermano neanche le stampelle, continuo a promuovere le attività dell’associazione“. Sostenuta anche dal figlio Massimiliano, presidente di Mattone su Mattone. “Sono tanti i progetti che abbiamo realizzato – racconta Gloria – in Brasile per esempio, dove abbiamo lavorato sulla forma del blocco modificandola per garantire la massima semplicità nella messa in opera. I destinatari dell’intervento erano dei tagliatori di bambù che abitavano in una favela”. La filosofia dell’associazione è chiara: ai poveri mancano risorse economiche per costruire una casa, ma pure le competenze. Con l’uso della terra cruda e dell’autocostruzione semplificata è possibile assicurare una casa degna e sana a tanti poveri. “La costruzione dei mattoni è realizzata vicino al cantiere, a pochi metri – spiega Massimo – in questo modo si riducono i costi”.
Uno degli aspetti notevoli di questa storia è la determinazione della signora Pasero, degna del più tenace “campione d’italia“: “Mio marito è venuto a mancare nel 2008 mentre stava impostando un progetto in Argentina in una località molto difficile dal punto di vista sociale ed economico. Io ho cercato di terminarlo e mi sono resa conto che non solo quello ma tutti i suoi lavori dovevano essere realizzati. Siamo andati avanti con familiari, studenti e colleghi sviluppando progetti in Brasile e poi in Africa“. La signora è riuscita ad unire diverse persone in memoria del marito. E dal Sud America ci si è spostati verso l’Africa “abbiamo iniziato in Senegal, con un centro di pronto soccorso”. Tra i progetti che la signora ricorda con particolare affetto torna spesso quello brasiliano “con la realizzazione di un laboratorio per la produzione di farina di manioca, destinata ad una comunità locale; poi, sempre in Brasile, abbiamo realizzato un centro dedicato all’artigianato femminile ed anche una casa. Ci ha sostenuto la Fondazione Intesa Sanpaolo onlus“.
L’associazione passa poi a lavorare in Tanzania e “porta” la Costa D’Avorio in Italia: “Lì non si poteva andare, la situazione era pericolosa e quindi abbiamo fatto venire da noi 3 ragazzi ivorani a cui abbiamo trasmesso le tecniche di costruzione che poi hanno sperimentato nel paese di origine“. Della serie che più che più regalare la canna devi insegnare a pescare…
La signora Pasero ci tiene a condividere questi risultati con i propri compagni d’avventura e ricorda la fondamentale collaborazione con il Politecnico di Torino per continuare a migliorare le tecniche di costruzione: “In Tanzania tre docenti – Giuseppe Quaglia, Carlo Ferraresi, Walter Franco - e l’ingegner Matteo Astigiano hanno introdotto una pressa nuova: prima se ne usava una francese che mio marito aveva modificato. Il loro coinvolgimento è stata una grande soddisfazione per me”.
L’associazione non si limita però al semplice “trasferimento di tecnologia”, ma ha la volontà di rendere protagonisti attivi i beneficiari degli interventi. Come si sta nuovamente verificando in Burkina Faso: “Qui stiamo seguendo un progetto di cooperazione, sostenuto da Regione Piemonte e Comune di Grugliasco, dove abbiamo introdotto un corso di formazione per la messa in opera del blocco mattone e lavoriamo affinché nasca una start up per i giovani. In modo che le persone che vivono in condizioni tragiche riescano a diventare autonome. Mio marito era per l’autocostruzione e contrario alla donazione, credeva nel coinvolgimento della popolazione, nel renderla responsabile. Non basta dare un manuale, materiale o attrezzature, è necessario condividere il progetto. Siamo orgogliosi dei risultati, una start up del Senegal ha anche saputo conquistare il sostegno della Regione Piemonte”. E si punta ora a radicare il concetto che una casa non deve essere solo un riparo contro le intemperie, ma un luogo sano e ben integrato nel paesaggio, combattendo il degrado: “In Senegal c’è una grande diffusione di cementifici, le case hanno un comfort abitativo praticamente nullo, aspetto ed estetica sono spiacevoli”. C’è quindi ancora molto da fare in questi paesi, con pazienza, altruismo e determinazione, mattone su mattone…
Gian Basilio Nieddu