Maria Cristina Finucci, l’artista a capo del Garbage Patch State
Maria Cristina Finucci è artista, architetto e designer. Nata a Lucca, laureata all’Università degli Studi di Firenze, ha vissuto e lavorato a Mosca, New York, Parigi, Bruxelles e Madrid ed attualmente risiede a Roma. Da architetto ha progettato e realizzato opere in diversi paesi poi pubblicate su riviste e libri. Sul fronte del design ha lasciato la sua firma su mobili che sono stati esposti al Salone del Mobile di Milano. La sua ricerca artistica è passata attraverso la pittura, la scultura, l’architettura, il design, la video arte fino ad una forma d’arte transmediale presente nella serie “Wasteland” che comprende tutte le” azioni “del Garbage Patch State nel mondo - lo Stato da lei fondato nel 2013 e identificabile con le isole di plastica presenti nell’Oceano – ovvero installazioni in vari paesi del mondo e durante tappe storiche importanti per l’ambiente. Iniziamo l’intervista con la sua ultima opera, dedicata alla tutela ambientale e realizzata con la promozione del Parco Archeologico del Colosseo e il supporto della Fondazione Bracco, in uno dei luoghi più simbolici e sacri dell’antica Roma e tra i più visitati al mondo…
D) Fino al 29 luglio sarà possibile ammirare la sua installazione luminosa “HELP the Ocean”, inaugurata durante la Giornata Mondiale dedicata agli Oceani, sui resti della Basilica Giulia nel Foro Romano. In primo piano l’invasione della plastica nella nostra vita, in particolare negli oceani. Un’opera di chiara sensibilità ambientale…
R) E’ il tema che ho iniziato a sviluppare dal 2012. Sono arrivata a dieci opere che sintetizzo in un video pubblicato nel mio sito. Il punto di partenza è come comunicare l’invisibile: di queste isole di plastica nell’oceano, infatti, si vede poco… Nel 2013, con la fondazione di un nuovo Stato Federale, il Garbage Patch State, il secondo Stato più vasto al mondo con i suoi 16 milioni di kmq, riconosciuto dall’Unesco, questo stato si è manifestato in molti luoghi nel mondo. Prima con persone comuni e poi con governanti: il passaggio, per esempio, a Parigi, alla COP21. Poi ho iniziato la serie archeologica con l’installazione di Mozia (l’isola siciliana con importanti testimonianze di epoca fenicia, NdR) e ora con “HELP the Ocean”. Quando tra qualche secolo o tra mille anni scaveranno troveranno solo plastica, visto che la pietra non la usiamo più!
D) Il materiale che lei utilizza nelle opere non è naturale, ma è “vivo”, visto che si tratta di materia prima d’uso quotidiano…
R) I tappi che compongono l’opera non sono spazzatura, li raccolgono le persone. Dietro ogni tappo c’è una persona che lo ha riciclato e messo in positivo. La plastica non è spazzatura, ma una risorsa, un valore. I gabbioni foderati di plastica sono qualcosa di positivo.
D) L‘opera è formata da un insieme di gabbioni Maccaferri in rete metallica, rivestiti da un ricamo di sei milioni di tappini di plastica colorati. Che fatica, viene da pensare!
R) Si certo, tanta. Un lavoro fatto con l’ Università Roma 3. C’è impegno, c’è lavoro. Tutti insieme, milioni di tappi con milioni di persone è un simbolo del concetto: l’unione fa la forza e insieme dovremmo combattere. L’installazione si trova in un luogo storico delicato. Mi sono accostata in punta di piedi e con massimo rispetto; non volevo creare shock, ho cercato di rispettare colori e forme già presenti.
D) Un’opera fisica, ma Help è un messaggio…
R) Ma non è solo il messaggio su un problema ambientale…Tutti questi problemi che ci affliggono sono collegati: dalla nutrizione, all’acqua, dallo stato degli oceani alla fame, dalla guerra alla diseguaglianza. Un grido d’allarme esteso.
D) Il suo impegno artistico è legato ad azioni ambientali di tipo politico. Sbaglio?
R) Su Agenda 2030 ho firmato come Capo di Stato la risoluzione nel giorno Help Days, in una manifestazione a Villa Borghese, ed è controfirmata dall’ex ministro Gian Luca Galletti, da Enrico Giovannini e da me. Il mio Stato è il secondo al mondo, poi faccio riferimento nelle mie azioni all’enciclica “Laudato Si” di Papa Francesco.
D) L’ambiente è sempre stato al centro del suo lavoro artistico?
R) Sinceramente no. Mi è venuto fuori come una vocazione quando mi sono resa conto dell’impatto della plastica sul mare; prima ero attirata da concetti astratti, l’ universo della fisica quantistica dal punto di vista filosofico. Poi ho pensato che un’artista si deve impegnare anche per risolvere problemi, l’ arte è un veicolo universale. E mi posso permettere di comunicare senza dare cifre, numeri. Non mi interessa se uno mi dice che il Garbage Patch State non sono 16 milioni di kmq precisi. Diverso il discorso se uno fa il ricercatore scientifico e deve dare risposte certe. Io faccio come fanno gli artisti: far vedere qualcosa che non si vede…
D) Come ha scoperto il tema della plastica?
R) Leggendo ho scoperto questa forma di inquinamento, la plastica che divorava gli oceani. Io frequento il mare e il fenomeno mi ha turbato, mi sono sentita coinvolta in prima persona.
D) La consueta domanda della rubrica dedicata al “pericolo maggiore per il pianeta”, mi suggerisce una risposta scontata: il dominio della plastica? Giusto?
R) Il problema è la plastica, ma non ha meno importanza il surriscaldamento del pianeta, che ha cause più diversificate…
D) I suoi ultimi anni di attività artistica sono chiaramente dalla parte dell’ambiente, ma lei come lo protegge nella sua vita quotidiana?
R) Cerco di non usare oggetti di plastica stupidi e che hanno poca utilità, sicuramente non compro quelli usa e getta e cerco di riusare per quanto possibile. Un comportamento normale. La plastica è necessaria, serve, pensiamo agli usi che se ne fanno in medicina, ma si deve cercare di usare solo quella necessaria, quella che serve veramente…
Gian Basilio Nieddu