Marco Columbro, “diamo alla vita un sapore bio”
In tutta Italia calano i consumi e gli acquisti dei cittadini. Ma c’è un settore che continua a crescere, e probabilmente è un bene per tutti. Il cibo biologico nel 2011 è cresciuto dell’8,9% e nei primi mesi di quest’anno ha mantenuto lo stesso ritmo: ormai sono quasi cinquantamila gli operatori del settore, impegnati a coltivare oltre un milione di ettari.
Marco Columbro, oltre a essere un noto attore e presentatore, è da anni uno dei portabandiera del biologico nel nostro Paese. Nella sua azienda agricola in Val D’Orcia, in Toscana, produce olio e pasta bio, e da sei anni organizza Milano SaporBio, manifestazione di promozione di un modo sano, equilibrato e sostenibile di coltivare e produrre il cibo, la cui sesta edizione si è chiusa da pochi giorni.
D) Columbro, le vendite del cibo biologico crescono, nonostante la crisi. Quel è la ragione secondo lei?
R) Piano piano l’importanza di consumare cibo sano è entrata nella mente degli italiani. Mentre calano gli acquisti dei prodotti convenzionali, aumentano quelli biologici. Nel settore per l’infanzia la crescita è addirittura del 25% in cinque anni. E questo la dice lunga su come ormai siamo convinti che convenga magari comprare meno, ma di qualità. Prima tutto questo era una nicchia, ma si è allargata di anno in anno.
D) Certo non siamo ancora a livello di altri Paesi europei…
R) Ovviamente c’è ancora molta strada da fare, soprattutto rispetto a Paesi come quelli scandinavi, l’Inghilterra o la Svizzera. Ma ci stiamo avvicinando: cresce la consapevolezza dell’importanza di consumare cibi sani, prodotti in maniera sostenibile.
D) Cosa serve per alimentare questa tendenza?
R) Il biologico ha dei costi che colture e allevamenti convenzionali non hanno. Per tirare su uno zucchino ci vogliono una cura e un lavoro incredibilmente superiori a quelli delle coltivazioni industriali. Ma è un circolo virtuoso: più si consuma cibo biologico, più le produzioni si sviluppano, più i prodotti costano meno e diventano alla portata di tutti.
D) Rimangono alcune difficoltà, come una filiera a volte poco razionale, o il problema delle certificazioni.
R) Questo è un aspetto che va assolutamente migliorato e regolamentato. Ad oggi le certificazioni sono a carico del produttore, che paga un’agenzia esterna perché faccia i controlli. Anche questo è un costo che alla fine ricade sui consumatori.
D) Una manifestazione come SaporBio sembra suggerire che il biologico non è solo un modo di coltivare ma diventa uno stile di vita. È così?
R) Il biologico va inserito nel contesto quotidiano, è un’abitudine virtuosa, ma che non ha senso se slegata da altre pratiche. Ci vogliono attenzione ai temi ambientali, all’uso dell’energia, all’inquinamento, allo spreco di acqua e altre risorse. Con SaporBio vogliamo invitare a uno stile di vita alternativo a quello a cui ci hanno abituato: va bene il biologico, ma non può non essere accompagnato dalla cura dell’ambiente, a una certa dose di spiritualità (non necessariamente religione!), all’uso di medicine naturali o a scelte di architettura sostenibile.
D) E i produttori? Come si rivolge a loro SaporBio?
R) Con questi eventi speriamo di avvicinare sempre più pubblico alle coltivazioni e ai prodotti biologici. Hanno quindi uno scopo prevalentemente informativo. Anche se la vera pubblicità, oggi è ancora in massima parte sui grandi mezzi di comunicazione, televisione in testa, e per quella i produttori biologici non hanno i soldi. Spesso sono piccole aziende, con budget ridotti, per questo sarebbe importante unirsi in un consorzio o associazione e insieme rivolgersi a quante più persone possibili. In pratica bisogna dare ai produttori – che spesso sono bravissimi ma non hanno grandi capacità di marketing – la possibilità di combattere ad armi pari con la grande industria alimentare.
D) Quali sono a livello legislativo gli strumenti che potrebbero aiutare questo processo?
R) In Italia abbiamo un’estensione delle coltivazioni biologiche che è seconda solo alla Spagna a livello europeo. Ma bisogna fare di più, servirebbero incentivi statali per abbandonare le coltivazioni convenzionali e spostarsi verso metodi più sani e sostenibili. Fondamentale sarebbe poi la creazione di un’agenzia di controllo nazionale sulle coltivazioni bio. Uniformando il sistema delle certificazioni elimineremmo i finti produttori biologici e ridurremmo i costi per chi lavora bene e, alla fine, per i consumatori.
Matteo Acmè