Marco Berry: 53.334 mattoni per dare il sorriso ai bambini somali
Nella nostra rubrica V.I.P. – Very Important Planet, non troverete mai due interviste allo stesso personaggio. Mai dire mai, però! Per Marco Berry, illusionista, conduttore televisivo ed ex inviato delle Iene, abbiamo deciso di fare un’eccezione, perché l’impegno della sua Onlus in Somalia merita una puntata a sè. Lo abbiamo incontrato in una serata di beneficenza organizzata da Edilcantiere alla Fornace Carena di Cambiano, in provincia di Torino, in cui si raccoglievano fondi per completare l’Ospedale MAS CTH (Mohamed Aden Sheikh Children Teaching Hospital) che la sua associazione ha contribuito a realizzare.
D) Berry, partiamo dalla sua associazione. Come è nata e con quali obiettivi?
R) La Marco Berry Onlus è nata nel 2011 da un gruppo di persone che volevano ridare indietro un pezzo di tutto ciò che la vita aveva regalato loro. Ci sentiamo tutti molto fortunati, e vogliamo impegnarci per aiutare chi sta peggio di noi. In particolare, i bambini: l’obiettivo principale è riportare il sorriso sui loro volti, indipendentemente dalla nazionalità e dal colore della loro pelle. Lavorando al progetto dell’ospedale, ricevendo le foto dei bambini curati, ci siamo accorti che quando dai agli altri, in realtà ricevi in cambio molto più di quello che hai dato.
D) Parliamo appunto del progetto dell’ospedale pediatrico, che anche la sua onlus ha contribuito a costruire. Innanzi tutto, perché proprio in Somalia?
R) In quel Paese c’è il tasso di mortalità infantile più alto del mondo. Quando ho visto i dati mi hanno fatto venire i brividi: 250 bambini su mille muoiono prima dei 5 anni per dissenteria, meningite, infezioni respiratorie. L’ospedale si trova ad Hargeisa, capitale del Somaliland, una regione che 25 anni fa si è autoproclamata stato, senza però essere riconosciuta a livello internazionale.
R) E’ una lunga storia: tutto nasce dal sogno del medico Mohamed Aden Sheikh, che era stato anche ministro della Sanità in Somalia negli anni Settanta. Durante la dittatura di Siad Barrè venne incarcerato per sei anni. La moglie Felicita, torinese, insieme ad Amnesty International riuscì a farlo liberare e,uscito dalla prigione, Mohamed venne in Italia. Il suo sogno era quello di premiare lo sforzo di pacificazione della regione del Somaliland. E così, alla sua morte, nel 2010, i medici Piero Abbruzzese, primario di Cardiochirurgia del Regina Margherita, e Daniele Regge, primario di Radiologia oncologica dell’IRCC di Candiolo, hanno pensato di onorare la sua memoria costruendo un ospedale a lui intitolato proprio ad Hargeisa. Hanno coinvolto la fondazione della Stampa Specchio dei tempi, poi la nostra onlus.
D) A che punto è la costruzione dell’ospedale?
R) L’ospedale è già stato costruito. Il primo mattone è stato posato il 29 gennaio 2012, e la prima metà della struttura, pari a 800 metri quadrati di ambulatori e stanze, con 18 posti letto, è stata inaugurata il 26 gennaio 2013. Stiamo raccogliendo fondi per rifinire e gestire l’altra metà dell’ospedale. In meno di cinque mesi di attività, sono già stati visitati 3.500 bambini. Inoltre, il MAS è anche un teaching hospital: la onlus omonima gestirà l’ospedale per sei anni prima di lasciarlo allo stato, formando prima i medici somali. Ogni mese, un primario, due medici e alcuni infermieri vanno ad Hargeisa per seguire i colleghi africani.
D) Qual è stata la reazione delle persone quando avete inaugurato l’ospedale?
R) All’inizio c’era molta diffidenza: una struttura costruita da bianchi che dava cure gratuite, quando nell’altro ospedale della città, peraltro fatiscente, bisogna pagare tre euro solo per entrare, sembrava una cosa strana. Ma poi quando abbiamo iniziato a informare le persone nei campi profughi l’atteggiamento è cambiato. Adesso, ogni mattina, all’apertura, c’è una fila di 200 bambini in attesa di farsi visitare.
D) Avete altri progetto in Somalia?
R) Vorremmo costruire anche un blocco operatorio, perché quando i bambini hanno bisogno di interventi chirurgici per adesso non possiamo fare niente. Nell’ospedale, infatti, ci sono ambulatori e stanze, e quindi dobbiamo limitarci ai day hospital.
D) Quanto siete riusciti a raccogliere fino ad oggi con la sua onlus, e in che modo?
R) Abbiamo raccolto oltre 200.000 euro, soprattutto con spettacoli e iniziative di ogni tipo che ci inventiamo di continuo, dalla staffetta su sci, ciaspole e tavola, alla gara di golf con trucchi di magia. Inoltre, stiamo continuando la vendita di simbolici certificati di proprietà dei mattoni necessari per la costruzione dell’ospedale: abbiamo calcolato che in tutto ne sono serviti 53.334, e ne mancano solo 8.000. Con i fondi che via via raccogliamo contribuiamo alla gestione e al completamento dei lavori.
D) L’ospedale è costruito seguendo criteri di sostenibilità?
R) (A quest’ultima domanda risponde l’architetto Giorgio Rosental, che ha progettato l’edificio) Anche se con grandi difficoltà, abbiamo utilizzato tutti materiali del posto, a partire dai mattoni che vengono costruiti lì, per evitare trasporti di merci dall’Italia all’Africa. Anche l’impresa che ha realizzato l’ospedale è del luogo. La copertura per il momento è in ghiaia, ma appena avremo dei soldi la faremo in terra e erba, in modo che essa garantisca l’isolamento termico. Ci sono inoltre già le predisposizioni per i pannelli fotovoltaici e solari termici, che saranno installati non appena troveremo dei prodotti semplici da riparare e a un buon prezzo.
Veronica Ulivieri