L’utopia concreta di Favara, il comune siciliano che non smette di rinascere
Una società per azioni buone con i cittadini che investe in politiche abitative, educazione e qualità della vita investendo i loro risparmi nel benessere della propria città. Un sogno, un ‘utopia, ma pensata e proposta da chi ha già realizzato un grande progetto: Farm Cultural Park a Favara, in provincia di Agrigento, in Sicilia. Un dispositivo culturale che ha creato economia vera, parlano i numeri: 120 mila visitatori, 20 milioni di euro investiti in 7 anni durante i quali sono stati creati 150 posti di lavoro stabili.
Questi dati fanno felici Andrea Bartoli e Florinda Saiva, fondatori di Farm Cultural Park, che dopo aver reso vivo e fertile il centro di Favara vogliono estendere la loro filosofia di cittadinanza attiva oltre il turismo e la cultura – che vanno bene, benissimo, ma come ci dice Bartoli: “Non bastano“.
Tutto è possibile ci ripete spesso il fondatore, non solo perché l’esperienza è fiorita bene a Favara, ma perché questa coppia nutre fiducia nell’uomo. “Abbiamo inaugurato nei giorni scorsi la mostra fotografica dedicata a Detroit, un paradigma urbano di caduta e rigenerazione. Sono stato nei mesi scorsi ospite del Dipartimento di Stato americano e ho visto una città grande come Parigi che per nove/decimi è in abbandono, eppure nel centro qualcosa si muove, sta ripartendo“. Segni di resilienza dopo la crisi più dura del secolo, peggio della peste. E questo racconto (per immagini) di resistenza umana arriva a Favara perché pur se i numeri danno ragione al successo di Farm Cultural Park, resta ancora molto da fare in questo borgo ricchissimo di appuntamenti culturali e vitalità artistica.
Alla domanda su quale sia stato il maggiore ostacolo visto e vissuto in questi anni, la risposta non è scontata. Non si parla di soldi, ma di “diffidenza“. “Il consenso è arrivato dai media, dai critici; solo dopo i cittadini hanno capito che era un modello utile. A Favara legittimamente, ripeto legittimamente, non si capisce bene”. Passi avanti, comunque, ne sono stati fatti tanti, sia con la fiducia conquistata tra i locali che con la sempre maggiore attenzione del mondo. “Il console degli Stati Uniti è venuta ben 4 volte a Favara in un anno”. Se questo non è un riconoscimento…
“Se siamo riusciti a Favara – rilancia Bartoli – perché non si può provare a Gela o in tante altre parti del mondo?”. Alla base sempre il coinvolgimento dei cittadini. “Nonostante la crisi ci sono tanti soldi in banca. A Favara i depositi ammontano a 500 milioni, se ne investiamo 50 sulla città si possono fare cose incredibili”. Investimenti economici che aumentano l‘attrattività del borgo: “In questo modo è possibile far arrivare nuovi cittadini e si superano i problemi demografici; nel 2050 potremmo arrivare a 50mila abitanti”.
Un vero e proprio sistema basato sul protagonismo attivo dei cittadini che hanno cura dei loro spazi che rendono belli, sostenibili e non inquinanti. Basta crederci e lavorarci: “Noi non siamo coraggiosi, sarebbe, al contrario, essere folli a non fare le cose che abbiamo fatto” ovvero puntare sulla cultura e la creatività per creare qualità della vita, che significa pure posti di lavoro stabili. La chiamano anche “economia arancione” e riesce a creare economia pulita.
D’obbligo, a questo punto, una visita a Favara per tutti coloro che hanno a cuore i “modelli alternativi” di riqualificazione dell’esistente. Quest’estate, come sempre, il menù è vario. Della mostra su Detroit abbiamo già detto, da scoprire il Nano Festival in collaborazione con Scenario Pubblico, dove tutto è in una dimensione minima, in cui danzatori organizzano nano performance per nano esperienze. Poi il Farm Film Festival: più di 500 documentari arrivati da 49 paesi del mondo. Il tema è “Fai qualcosa, dati una mossa”, sono documentari di cittadinanza attiva. Quella seminata e coltivata a Favara.
Gian Basilio Nieddu