L’uomo che inventò il Polo Nord
Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo oggi un estratto del libro “L’uomo che inventò il Polo Nord” di Philipp Felsh, edito da Nutrimenti (pag. 272, 18.00 euro).
Normalmente storie come queste cominciano con un viaggio. Il primo contatto diretto con il mondo, un momento fatale per chi si dedicherà all’esplorazione e alla ricerca. Per esempio, Alexander von Humboldt, tanto ammirato da Petermann, si mise in mare a ventinove anni. La mescolanza di desiderio d’avventura e nostalgia che lo colse al momento di lasciare l’Europa superò in intensità qualsiasi sentimento avesse provato fino ad allora. “Il sentimento con cui si inizia, per la prima volta, un lungo viaggio, ha sempre qualcosa che ti tocca nel profondo”. Anche August Petermann, nel1845, compì un lungo viaggio. Aveva ventitré anni e conosceva il percorso a menadito. Sulla grande carta della Germania nell’Atlante geografico tascabile di Stieler la prima tappa portava da Potsdam a Magdeburgo: sedici miglia di posta scarse, con la nuova ferrovia si potevano coprire in una mattinata. Da Magdeburgo discese l’Elba su un piroscafo. I pontierano illuminati a festa, sulla scia della nave dondolavano indifese delle chiatte di legno e a ogni approdo si affollavano nugoli di persone. A Dömitz la nave superò il confine con l’Hannover e proseguì lasciandosi di fianco il territorio del Meclemburgo e dell’Holstein. Attraversando numerose località, ciascuna con la propria ora, dopo un giorno e una notte arrivò ad Amburgo, libera città del Reich e dell’Hansa: ecco come si viaggiava in Germania nell’anno 1845. Perfino in Prussia ogni cittadina, all’epoca, aveva la propria ora, che si distingueva in minuti e secondi da quella di Berlino. Solo gli orari ferroviari unificati, nella seconda metà del secolo, posero fine a questo patchwork. Ma nel 1845 la tratta da Berlinoad Amburgo era ancora in costruzione.
Dopo Amburgo la carta della Germania nello Stieler terminava. Solo una linea sottile, che spariva nel bianco del Mare del Nord, indicava la rotta del piroscafo che puntualmente, ogni due settimane, salpava per Edimburgo. La traversata durava due o tre giorni, a seconda del tempo. Così Petermann raggiunse la sua meta, tutto sommato, in meno di una settimana. Per l’epoca una velocità da togliere il fiato. Appena dieci anni prima il viaggio da Potsdam a Edimburgo avrebbe richiesto settimane, e i passeggeri dei piroscafi e delle ferrovie lo sapevano bene. Il vapore, “questa forza che trascinava con la velocità di un’aquila fortezze marine e borghi in movimento”, eccitava ovunque gli animi. Alla giusta dose di pathos pensavano travestimenti poetici per lo più in forme di animali, uccelli rapaci, leoni o nobili destrieri. Il primo viaggio con una di queste creature d’acciaio dev’esser stata un’esperienza quasi metafisica. Quale migliore dimostrazione della superiorità dell’uomo sulle forze della natura di un piroscafo, che, incurante di vento e onde, dritto come un fuso seguiva la sua rotta sul mare? Neppure lo spirito di Dio, scrisse un anonimo entusiasta del progresso sulla londinese Quarterly Review, avrebbe potuto scivolare più agilmentesulle acque. Lo spazio stesso, questa grandezza naturale suddivisa in miglia di posta e ore di viaggio, si poteva annullare con i nuovi mezzi di trasporto. Heinrich Heine notò nel 1843, con sentimenti contrastanti, che il Mare del Nord e i suoi cavalloni ormai bagnavano direttamente Parigi. Per noi frequent flyers non è più così facile comprendere il suo sgomento. Ma ormai anche il già citato autore della QuarterlyReview vedeva il Mediterraneo “ridursi sotto i nostri occhi alle dimensioni di un lago”.
Lanciarsi a trenta chilometri all’ora su una pianura, agganciatia una locomotiva, dava a molti passeggeri la sensazione di danzare su un vulcano che sputava fuoco. La meccanizzazione dei trasporti era qualcosa di inaudito, un fenomeno di portata mondiale e dalle conseguenze imprevedibili. Anche il giovane Petermann deve aver subito il fascino del vapore. La domanda crescente di mobilità e la costruzione delle linee ferroviarie davano il pane quotidiano a un cartografo. Anche in seguito, quando si trattò di elaborare piani per l’esplorazione del polo Nord, la bruta forza delle macchine confermò il suo ruolo decisivo. “In piroscafo”, proclamò fiducioso due decenni dopo il viaggio a Edimburgo, “la traversata dalla costa tedesca del Mare del Nord fino al polo Nord richiede al massimo dieci giorni”. Da anni Petermann disegnava carte geografiche: di terra,di mare, per le ferrovie; carte che, per il proliferare delle nuove vie di comunicazione, dovevano essere riviste sempre piùspesso. Il Grand Tour verso le isole britanniche segnò la fine del suo corso d’istruzione nell’istituto tecnico geografico di Heinrich Berghaus a Potsdam. Deve aver compiuto questoviaggio con una mistura di euforia giovanile e fredda superiorità,visto che, come cartografo, litografo e incisore fresco di studi, sulla rotta era meglio informato della maggior parte dei passeggeri che gli tenevano compagnia nell’economica terza classe. A metà del diciannovesimo secolo aver a chefare con carte geografiche non era un’esperienza frequente. Quel che si potrebbe definire illuminismo cartografico, la nascita di una sorta di autoconsapevolezza spaziale, era allora proprio agli inizi. Troppo spesso si dimentica che a lungo, fino alla conclusione delle guerre napoleoniche, le carte geografiche sono state documenti segreti, gelosamente custoditi dagli stati europei e dai loro apparati militari. Nell’Unione Sovietica è stato così addirittura fino alla glasnost di Gorbaciov. Con piacere gli storici della cartografia raccontano di ferrovie solitarie che si addentrano nel vuoto della terra dinessuno, di foci di fiumi dalla posizione falsificata e di città inesistenti nel bel mezzo della steppa siberiana. Conoscerela propria posizione rispetto alla capitale, al confine, almare, è una conquista relativamente recente. Eppure, nonostante la sua professione, il giovane cartografo non sembra aver provato un grande piacere nel viaggiare. Avrebbe trascorso l’ultima parte della sua vita a organizzare spedizioni in terre straniere, ma non gli passò mai per la testa l’idea di partecipare a una di queste avventure. Solo poco prima di morire intraprese un viaggio in America e si lamentò dell’afa durante il viaggio in ferrovia da Filadelfia alle cascatedel Niagara. I critici interpretarono la sua sedentarietà come viltà. Ma August Petermann preferiva viaggiare sulla carta.
Philipp Felsch*
*Philipp Felsch (Gottinga, 1972) ha studiato storia e filosofia a Friburgo, Colonia, Bologna e Berlino. È professore di storia delle scienze umane alla Humboldt-Universität di Berlino. (photo © Luchterhand Literaturverlag)