Lo spettacolo della natura dopo la mareggiata
Continua la pubblicazione in esclusiva, su Greenews.info, dei racconti vincitori del Premio letterario su tema naturalistico “Michele Lessona”. Il racconto di oggi, “Mareggiata”, di Anna Giulia Presti, si è classificato al primo posto nella Sezione “Ragazzi”.
Il cielo è plumbeo, carico di pioggia. Presto ci sarà un acquazzone. Una figura con un k-way grigio si allontana. Sarà qualcun altro venuto a vedere gli effetti della tempesta di ieri sera. Sono sola. Si sente solo il rumore dell’infrangersi delle onde sulla riva e il soffio del vento di levante sul mio viso. Il tempo sembra essersi fermato. Il molo di legno è ancora deserto. Presto si riempirà di turisti e pescatori alla ricerca di qualche gattuccio. La spiaggia, stranamente vuota, è costellata dalle impronte dei gabbiani e dei piccioni, gli stessi gabbiani che ora stridono sopra di me, volando in un vorticare di arancio, grigio e bianco, presi dall’ansia di procurarsi del cibo. Lungo il bagnasciuga si vede una lunga striscia scura di Poseidonie. Deve averle portate qui l’alta marea mattutina. In mezzo a questi fili mollicci si possono scorgere ancora gli esoscheletri dei ricci di mare, segno della quantità di ecosistemi che queste piante devono aver ospitato al loro interno. Sono così belli: trovarli dà un tocco di colore a questa mattinata grigia e silenziosa. Sorrido al pensiero di mia madre, convinta che le Poseidonie siano alghe. Qualcuno dovrebbe spiegarle che in realtà sono piante acquatiche. All’improvviso il mio piede urta qualcosa di solido. Mi tranquillizzo vedendo che si tratta solo di una di quelle palle marroni di fibre chiamate egagropili. Assorta nei miei pensieri, mi avvio lungo la striscia sabbiosa portante ancora i segni di questo immane disastro.
Mi è sempre piaciuto osservare il mare in seguito a una mareggiata. Secondo me rappresenta al contempo la maestosità e la forza della natura. Quella di ieri è stata bellissima. Le onde arrivavano a ricoprire l’intero molo, lo stesso dove ora una gattina grigia è assopita in mezzo a mucchi di cordame inumiditi dalla salsedine. Probabilmente aspetta che uno dei soliti pescatori passi di lì e le lasci un bocconcino di pesce. Osservo più in là la scogliera e ascolto gli strani suoni che l’acqua produce infilandosi in quel complesso di grotte naturali. Intorno galleggiano ancora pezzi di vari celenterati e sulle rocce sono visibili i frammenti delle cozze e delle patelle. La furia delle onde deve aver fatto grandi danni, giù allo spartiacque.
A riva addirittura trovo parti di stelle marine, spappolate dalla tempesta. Le ributto in mare: questi echinodermi sono famosi per la loro straordinaria capacità di ricostruire i bracci perduti. Ah! Ecco un sopravvissuto. Un piccolo esemplare di Anadora demiri si affanna ad aspirare l’umidità di cui sono impregnati i filamenti scuri della Poseidonia. Mi affretto a lanciarla in mare. Nonostante essa non sia una specie originaria del Mediterraneo, la sua infiltrazione in questo ecosistema non ha creato danni, per cui non vedo il motivo per il quale dovrei lasciarla morire. In fondo anche lei è un essere vivente, esattamente come me. Continuando a camminare trovo molte conchiglie delle mie specie preferite: coperti da un po’ di sabbia trasportata dalla risacca ci sono i “cuori” (Acanthocardia tubercolata), sempre allegri con le loro smaglianti striature rosso-arancione, mentre fra i resti semi-galleggianti di varie erbe marine ondeggiano, troppo leggere per resistere alle correnti, delle conchiglie delle sottili “Mactra scultorum”,dalle mille dolcissime sfumature.
Arriva il primo pescatore. Deve essere molto coraggioso per tornare a pescare dopo un simile scempio. Cerco di immaginare come deve essere la tempesta dal punto di vista di qualche innocuo bivalve: la vedrei come un avvenimento di entità mostruosa, un’apocalisse in miniatura. Arriva un altro pescatore, e un altro ancora. Il tempo sembra aver ripreso a scorrere, mentre una bimba di cinque anni è intenta a guardare il mare, chiedendosi quando potrà rivedere uno spettacolo del genere.
Anna Giulia Presti