“L’Industriale”: la disperazione di un imprenditore del fotovoltaico nel film di Montaldo
Il vecchio leone del cinema italiano crede ancora nella denuncia. Giuliano Montaldo, 82 anni tra meno di un mese e la lucidità di sempre, è ancora capace di affondare il termometro nella società, nel cuore del Paese. Instancabile, il regista genovese è nelle sale con il nuovo film, L’industriale. Pellicola che coglie in pieno le difficoltà del nostro tempo e della crisi: è il declino di un imprenditore di mezzetà, in grossi guai finanziari, che non riesce più a mandare avanti la sua azienda di pannelli fotovoltaici.
D) Maestro, quando ha pensato a questo film sui disastri umani della crisi?
R) Verso la fine del 2010 chiunque di noi si rendeva conto, attraversando certe zone d’Italia, che eravamo di fronte a una bolla che stava per scoppiare violentemente, con un portato di conseguenze sociali e private. Fabbriche occupate, dismesse, piazzali vuoti di grandi industrie metalmeccaniche davano infinita tristezza. Certo, non avremmo mai immaginato di assistere a un tale, spaventoso tsunami, tutti noi siamo rimasti folgorati.
D) Crede che questo momento di difficoltà del Paese sia peggiore di quelli vissuti in passato?
R) Nella mia lunga vita ho assistito a crisi economiche diverse. Parlo di quando ancora c’era la lira, i governi facevano qualche ritocco al carburante, al costo dei pedaggi e delle sigarette, e nulla più. Ora, con l’Europa e l’euro, gli stati si danno furbescamente la colpa del disastro l’un l’altro. Quella sederona della Merkel a quel dinoccolato di Sarkozy, alla Grecia o a noi, ad esempio. E intanto il cerino brucia le vite e brucia il Paese.
D) Vedere e denunciare la crisi è il primo passo. Ma poi, che fare?
R) Dobbiamo ritornare a essere molto miti. Nessuno può dirsi al salvo dal gorgo. Da qui prende l’avvio la storia del mio film. Da un uomo che eredita l’azienda da un padre lavoratore, diventa un leader proclamato dai compagni di lavoro, ha un rapporto accorato con i suoi dipendenti, ma di fronte al fallimento economico, ai debiti, all’incapacità di pagare i dipendenti, sprofonda nella disperazione. E’ durissima dire “non ce l’ho fatta”.
D) Anche perché, oltre all’imprenditore sono centinaia le famiglie che perdono il lavoro…
R) E’ un’umiliazione, una sconfitta cocente. Come si fa a tornare a casa dicendo “mi hanno licenziato, da adesso in poi abbiamo il problema di come sopravvivere”? Se una volta quello del lavoro era un dramma di classe, ora è tutto interiore, la disperazione mangia l’anima. Non c’è dubbio che ci siamo fatti travolgere dal consumismo sfrenato. Quando ero giovane, parliamo del secondo dopoguerra, mio papà non cambiava il telefono tutte le settimane, lo zainetto, le scarpe erano sempre quelle. E poi, un tempo c’era più amicizia e fratellanza di quella che c’è oggi, mentre ognuno pensa a sé e a remare sulla propria zattera. Siamo di fronte a un delirio imbecille, che ci ha portato ad essere vittime sacrificali di una macchina stritolante: il desiderio sfrenato non sempre può essere appagato, ma chi non può farlo soffre.
D) Ci spiega la scelta dell’azienda di fotovoltaico per il film?
R) Quello dell’ambiente è uno dei problemi cruciali del nostro mondo. Dobbiamo convertire le nostre economie se vogliamo avere un futuro. A furia di tirare fuori il petrolio dal sottosuolo, prima o poi esce uno gnomo tutto bruciato che dice “adesso basta”! Il Padre Eterno sarà ben stufo di noi e di girare con la mascherina perché non lo facciamo respirare, non crede?
D) Lei vive a Roma. Come si sta, quanto a inquinamento?
R) La Capitale è una città con due capitali. Sembra un paradosso, ma è così: ci sono i turisti e i pellegrini e quelli che si incazzano e vengono a fare le manifestazioni. C’è la città che vive la sua dimensione urbana e c’è tutto l’apparato dello Stato, qualche volta mandato agli Inferi, qualche volta sugli altari. A questo proposito, mi auguro che Monti e i suoi ministri vadano a vedere il mio film, come piccola testimonianza di quel che è il Paese reale. Roma sta tornando a essere una metropoli alterata dalla malavita, soprattutto nei quartieri periferici incomincia a sentirsi puzza di violenza dovuta alla crisi. L’altro giorno ho visto per strada un signore con il vestito di un sarto e un cappello Borsalino in testa, che chiedeva l’elemosina. Non le sembrano segnali?
D) Se fosse Ministro della Repubblica per un giorno, che cosa farebbe per andare incontro a queste situazioni di crescente disagio?
R) Vorrei essere Ministro dell’Infanzia, per pregare tutte le mamme di non portare i loro figlioletti in giro, nel traffico. Nessuno dice mai che le carrozzine sono giusto all’altezza dei tubi di scappamento. I piccoli non hanno ancora possibilità di scelta, per la loro salute non si può sottoporli a ciò.
Letizia Tortello