Ligneah: quando il legno sostituisce la pelle animale
Come molte invenzioni, anche quella di Ligneah, il primo tessuto in cotone e fibra di legno, è nata da un’esigenza: Marta Antonelli, giovane stilista romana appena uscita dall’Istituto Europeo di design, voleva sostituire la pelle di pitone con un materiale che coniugasse l’estetica con la sostenibilità e fosse al 100% cruelty free. “Siamo vegetariani, e lavorare sulla pelle andava contro i nostri principi. Così, ci siamo messi alla ricerca di un materiale a basso impatto ambientale, e abbiamo scoperto che il legno presentava questa caratteristica: se proveniente da foreste gestite in modo sostenibile, infatti, è il centro di un’economia sana, che dà lavoro alle popolazioni locali”, racconta il padre Marcello Antonelli, ex dirigente di un’azienda tessile. Nel 2010 è stato licenziato in seguito a una ristrutturazione aziendale, ma da quel momento di difficoltà è iniziata la nuova avventura con la figlia, culminata l’anno scorso con la nascita della start up My Mantra.
“La ricerca di una soluzione tecnica è durata un anno. Abbiamo poi iniziato sperimentazioni insieme ad altre aziende locali per mettere a punto il processo produttivo e a novembre 2011 abbiamo depositato la domanda di brevetto”. Il procedimento per realizzare Ligneah, utilizzabile in tutti quei settori in cui tradizionalmente viene impiegata la pelle, dalle scarpe alle copertine delle agende, dai sedili delle auto all’arredamento, è complesso: “Si parte dal tranciato, una sfoglia sottilissima, di massimo 1 millimetro, di legno naturale o verniciato ad acqua, che viene accoppiato a un tessuto in cotone e passato al laser. Se il tessuto è destinato alla produzione di scarpe, può essere trattato con un gel ecologico che lo difende dagli agenti atmosferici, e abbiamo anche delle tramature particolari adatte a pouf e divani. Le varie fasi avvengono a secco, senza rilasciare emissioni”. Il risultato è un tessuto al tatto uguale alla pelle, morbidissimo, ma allo stesso tempo più resistente e indeformabile.
Il legno utilizzato, soprattutto di frassino, betulla, noce e rovere, proviene tutto da foreste certificate e gestite in modo sostenibile dell’Europa e del Nord America. “Per principio, non usiamo legno proveniente dalle zone tropicali, a rischio deforestazione. Inoltre, per la fibra tessile abbiamo preferito il cotone ai tessuti sintetici, anche se questo ha comportato maggiori difficoltà in fase di messa a punto del processo industriale”.
Un anno fa, subito dopo la sua nascita, la My Mantra ha iniziato a partecipare a fiere dedicate alla sostenibilità: “A settembre 2012 abbiamo presentato i primi prototipi di scarpe e borse a So critical so fashion, l’evento milanese sulla moda attenta all’ambiente, e siamo anche stati contattati da Material Connexion, il più grande centro di ricerca e consulenza sui materiali e processi produttivi innovativi e sostenibili, che ci ha inseriti nel suo archivio di materiali ecologici”. Il progetto ha ricevuto anche una menzione speciale nell’ambito del Premio Impresa Ambiente, sezione Miglior prodotto.
Pur tra mille difficoltà (“in Italia non ci sono agevolazioni per le start up, ed è veramente dura andare avanti”), alla fine è arrivato anche il riconoscimento del mercato: “Abbiamo ricevuto molte richieste da grandi gruppi della moda e del settore auto, alcune provenienti anche da Canada e Stati Uniti. Ci hanno contatto anche tanti persone vegane, incuriosite dal nostro materiale cruelty free”. Di fronte a tanto interesse, è arrivato il momento della svolta: “Fino ad ora ci siamo appoggiati a piccoli laboratori per realizzare i nostri prototipi. Adesso siamo alla ricerca di finanziamenti e partnership industriali per iniziare la produzione Ligneah, che vogliamo mantenere in Italia. Entro metà maggio apriremo anche un e-commerce per vendere borse, portafogli e altri oggetti prodotti con questo materiale unico al mondo”.
Per ogni prodotto venduto, grazie a un accordo con Tree-nation, sarà piantato un albero nel basso Niger, in un’area a rischio deforestazione: “Con un albero riusciamo a produrre almeno 100 borse e 150 paia di scarpe. Questo significa che per ogni pianta che utilizziamo ne restituiamo all’ambiente circa 300. In questo modo, se anche ci fossero delle piccole pecche nel nostro processo produttivo, cerchiamo di ripararle”.
Veronica Ulivieri