L’Europa e l’affare glifosato. Posta in gioco e rischi per la salute del rinnovo per i prossimi 15 anni
Quando la Monsanto lo presentò per la prima volta, nel 1974, sembrò una rivoluzione: un diserbante capace di bloccare i nutrienti minerali essenziali per la vita di alcune piante, rapidamente, in maniera biodegradabile e non tossica. Per tutte queste caratteristiche il glifosato è oggi il diserbante più utilizzato al mondo, soprattutto in concomitanza con coltivazioni OGM come soia, mais e colza, rese “artificialmente” resistenti al glifosato.
Invece le sue tracce rimangono eccome nell’ecosistema. Compromette la stabilità dei terreni – contribuendo in modo determinante al dissesto idrogeologico – riduce la biodiversità e inquina le falde acquifere. Nonché entra nella nostra catena alimentare, nei cibi di origine animale ma soprattutto nei vegetali. Dalla verdura alle farine.
La comunità scientifica rimane, tuttavia, ancora parzialmente divisa. C’è chi ne sottolinea l’estrema pericolosità. Come uno studio pubblicato su The Lancet Oncology che, dopo tre anni di ricerche coordinate da 17 esperti in 11 Paesi, rivela una forte correlazione epidemiologica tra l’esposizione alla sostanza e il linfoma non-Hodgkin. In aggiunta ai già noti aumenti di ricorrenza di leucemie infantili e malattie neurodegenerative, Parkinson in testa. Inoltre già dagli anni ’80, è anche classificato come interferente endocrino, rivelando una forte correlazione con l’insorgenza della celiachia. C’è invece chi è più cauto (forse per cautela “istituzionale”), come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che lo ha classificato come “probabilmente cancerogeno” (il che basterebbe a giustificare il principio di precauzione). Fino invece a chi propende per dichiararlo innocuo. Secondo l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), infatti, “è improbabile che l’erbicida ponga un rischio di cancerogenicità per l’uomo”. Vale comunque la pena ricordare che i pareri dell’Autorità UE si basano su studi nazionali che, nel caso della Germania, per esempio, sarebbero finanziati dalle stesse multinazionali della chimica.
Diviso anche il mondo delle associazioni, come già sugli OGM. Nel caso dell’Italia – che è uno dei principali utilizzatori – per esempio, soprattutto quelle agricole hanno messo le mani avanti: “In una situazione di forti importazioni low cost - ha detto Coldiretti - è necessario che l’eventuale divieto riguardi coerentemente anche l’ingresso in Italia e nell’UE di prodotti stranieri con residui di questa sostanza“. Confagricoltura ha, invece (come sempre) invitato alla “prudenza”. “Prima di togliere l’autorizzazione ad un erbicida come il glifosato servono certezze scientifiche, altrimenti si crea solo un danno ai produttori e all’ambiente”. Un film già visto, quello delle ricerche scientifiche infinite, che per raggiungere un grado di certezza oggettivamente impossibile, rischiano di lasciare immutata la situazione per decenni. Sul fronte opposto, invece, Legambiente, che ha lanciato “No glifosato”, un manifesto che riunisce 34 ONG dell’agricoltura biologica, biodinamica e ambientaliste.
Ma il vero problema è che sono spaccati anche gli Stati UE. In ballo c’è il confronto sul rinnovo – per altri 15 anni - dell’autorizzazione all’utilizzo del glifosato, e ad oggi non è affatto chiaro cosa intenda fare la maggioranza dei Paesi. Per il momento solo Italia, Francia e Olanda, hanno espresso la loro posizione contraria al rinnovo. La Germania – dove il glifosato è stato trovato persino nella birra – così come altri numerosi partner hanno detto che in caso di voto si sarebbero astenuti…
Messa alle strette da questa situazione di indecisione Bruxelles ha quindi preso tempo, annunciando, tuttavia, che non intende rinunciare ad una decisione definitiva entro giugno, quando scadrà l’autorizzazione in corso. L’UE ha chiesto così agli esperti dei 28 Stati Membri di inviare, entro il 18 marzo, le proposte di modifica che auspicano di apportare al testo in discussione. La questione sarà di nuovo sul tavolo del prossimo Comitato Europeo in programma il 18 e 19 maggio, ma niente impedisce che la riunione possa essere anticipata. La ritirata strategica dovrebbe servire infatti “per costruire un consenso”, dopo l’alzata di scudi da parte di Italia, Francia, Svezia e Paesi Bassi, ma anche la pressione esercitata da diversi gruppi politici del Parlamento Europeo e da lobbisti professionisti scatenati da multinazionali che non baderanno a spese, vista la posta in gioco.
“Il parere dell’EFSA è lacunoso e manca di trasparenza, del resto tre dei loro studi vengono mantenuti segreti“, fanno notare i Verdi Europei, indubbiamente il gruppo politico più informato sul tema. Il rinvio della decisione da parte della Commissione e la richiesta agli Stati di presentare, entro il 18 marzo, gli emendamenti alla proposta dell’Esecutivo UE, concentrandosi non sul principio attivo, ma sulle sostanze che vengono aggiunte (alcune delle quali sicuramente tossiche), potrebbe inoltre nascondere una trappola: focalizzare l’attenzione sui coformulanti per far passare così il rinnovo all’utilizzo dell’erbicida.
Beatrice Credi