L’Europa divisa dal gas di scisto
A Strasburgo ha vinto la lobby dell’energia. Sono tante le associazioni ambientaliste e anche alcuni Eurodeputati a pensarla così dopo che il Parlamento, il 20 novembre, con una maggioranza schiacciante, ha approvato due relazioni sul gas di scisto, potenziale risorsa che continua a dividere gli Stati dell’Unione Europea a causa dei rischi per l’ambiente.
Ma che cos’è esattamente il gas di scisto? Lo scisto è una roccia sedimentaria, che si sfalda secondo piani paralleli. Particolarmente ricca di materiale organico, la sua rottura consente l’estrazione di gas naturale, che si trova alla profondità di circa mille metri. Il processo di estrazione consiste nel fratturare le rocce, sparando nei pozzi acqua mista a sabbia e sostanze chimiche permettendo così al gas di risalire in superficie. D’ora in poi ogni Paese avrà il diritto di decidere se sfruttare o meno questa fonte energetica. Con questa controversa decisione il Parlamento Europeo sembra quindi dare il chiaro messaggio che l’estrazione del “gas shale” e’ sicura sia per la salute pubblica che per l’ambiente.
Gli Stati UE continuano, tuttavia, ad essere divisi: Francia e Bulgaria hanno deciso di impedire i piani di sfruttamento del territorio, mentre Polonia, Germania, Austria, Svezia, Olanda e Regno Unito la considerano una risorsa interessante. Completamente ignorato, dunque, l’emendamento presentato da settantacinque eurodeputati che chiedeva una moratoria delle estrazioni di gas scisto in Europa.
Ogni volta che si ripresenta all’orizzonte dell’UE l’urgenza di una politica dell’energia torna di attualità la ricerca di trovare fonti di approvvigionamento alternative, pulite e più economiche. In un contesto del genere la tentazione di esplorare le cosiddette riserve non convenzionali è inarrestabile. Fra queste c’è proprio il gas di scisto, concentrato principalmente in Francia e Polonia dove pare ce ne sia una scorta di ben quattordicimila miliardi di metri cubi. Il desiderio di saperne di più circa questo gas è ancora più giustificabile se si dà uno sguardo oltreoceano. Gli Stati Uniti, infatti, in soli dieci anni, si sono emancipati dal punto di vista energetico. L’88% dei loro consumi sono di origine nazionale, il 58% della loro produzione proviene dal gas di scisto. Qui, inoltre, il prezzo del gas è tornato ai livelli del 1976. Lo sviluppo e la produzione di questa fonte potrebbe, quindi, abbassare i costi aumentando la competitività, creare posti di lavoro, ridurre l’importazione di energia e migliorare l’indipendenza energetica dell’UE. Ma fino a che punto questo tipo di fonte è “pulita” e qual è il prezzo da pagare per l’ambiente e la salute dei cittadini?
Le regole più severe chieste dall’Aula in settimana sono un passo avanti, dichiarano gli scettici, i dubbi scientifici sull’impatto ambientale, tuttavia, fanno temere il peggio. Il perché è presto detto. L’estrazione del gas da scisti bituminosi necessita l’inserimento di enormi quantità d’acqua all’interno delle formazioni rocciose. Se il pozzo non è ben costruito, il rischio è quello di una contaminazione della falde acquifere, al quale si aggiunge quello di fughe di gas a effetto serra come il biossido di carbonio e dispersione di prodotti chimici (scenari già verificatisi negli USA). Senza contare che, la fratturazione idraulica (fracking), la tecnica più comune di esplorazione e di estrazione del gas di scisto, richiede molta energia. È quindi, per ora, molto inquinante e l’enorme quantità di acqua utilizzata potrebbe essere all’origine di alcuni terremoti di piccola entità. Altro dettaglio da non sottovalutare, è il fatto che l’estrazione avviene in posizione orizzontale, che, a differenza di quella verticale, prevede numerosi fori in successione e, di conseguenza, può essere effettuata solo in zone poco popolate, in Europa non molto comuni.
Di fronte a questo problema, le istituzioni europee hanno un atteggiamento a dir poco schizofrenico, che deriva anche dalle dimensioni degli interessi in gioco.
All’inizio di settembre la Commissione aveva pubblicato tre rapporti sull’argomento nei quali affermava che i gas “non convenzionali” potrebbero rappresentare fino al 60% del consumo in Europa, i rischi ambientali e i danni prodotti dall’estrazione sono elevati e che, di conseguenza, il gas di scisto può essere estratto solo in un quadro regolamentare molto severo. L’Esecutivo di Bruxelles non prevedeva, tuttavia, l’adozione di una nuova regolamentazione. A pochi giorni di distanza la Commissione industria del Parlamento Europeo aveva adottato un rapporto preliminare nel quale affermava che l’UE non dovrebbe intromettersi nelle politiche energetiche nazionali e che lo sfruttamento di questo gas ridurrà la dipendenza dell’Europa e diminuirà dal 29% al 41% le emissioni di anidride carbonica. Contemporaneamente, la Commissione Ambiente approvava un progetto di risoluzione che mirava a rendere più rigorose le misure in materia di protezione dell’ambiente e della salute e le responsabilità dell’industria per eventuali danni. Queste le tappe che hanno portato alla conferma dei contenuti dei documenti di entrambe le Commissioni nella Plenaria di novembre.
Alla luce dei fatti, però, la corsa all’estrazione del gas di scisto poco cambierebbe in vista degli obiettivi ambientali che l’UE si è prefissata: ridurre, cioè, le sue emissioni del 20% rispetto al 1990 e ottenere il 20% dell’energia utilizzata da fonti rinnovabili. Il problema risiede, sostanzialmente, nel suo essere, come gli altri idrocarburi, non una fonte a medio o lungo termine. Il suo sfruttamento avverrebbe, probabilmente, a spese dello sviluppo e della ricerca di altre fonti.
Beatrice Credi