Tra teatro e agricoltura domestica. L’impegno ambientale di Laura Curino
Il suo hobby? L’agricoltura domestica. Coltiva e cura piante e fiori sul balcone o nel piccolo appezzamento di terra del giardino di condominio. “Mi avete colto di sorpresa mentre stavo piantando bulbi, di tulipani, giunchiglie e scille”, dice. L’insolita “contadina” in versione metropolitana è Laura Curino, una delle più celebri attrici italiane del teatro di narrazione, presto al debutto al Gobetti di Torino con uno spettacolo dedicato alla tragedia dell’Eternit di Casale, dal titolo “Malapolvere. Veleni e antidoti per l’invisibile” (debutto il 31 gennaio 2012, nella stagione del Teatro Stabile).
D) E’ strano immaginarla in panni bucolici, per una volta giù dal palco, che calca da oltre 30 anni...
R) Io pianto continuamente e adoro vedere le cose crescere. Sul mio balcone custodisco gelosamente una fioritura di crisantemi che, lo confesso, m’invidiano un po’ dagli altri terrazzi. E anche melograni. Qualche tempo fa avevo provato con i pomodori. Mia suocera dice sempre: prima o poi questo terrazzino casca!
D) Lei vive a Settimo, alla periferia, qualcuno dice un po’ grigia, di Torino. Come si trova?
R) Non potrei chiedere di meglio. Abbiamo avuto delle amministrazioni fantastiche negli ultimi anni. Non è vero che è una città grigia. E’ al contrario piena di vita e di cultura: sono nate da noi la Biblioteca più informatica d’Italia, un Ecomuseo, la Casa della Musica, condomini di accoglienza per i nomadi. Ci sto benissimo. Non ho la macchina e mi sposto solo coi i mezzi pubblici. Cammino parecchio, occasione per evitare la palestra e tenersi in forma”.
D) Se dovesse trasferirsi, qual è per lei la città che offre la migliore qualità della vita?
R) Sarà banale e campanilistico dirlo, ma non mento se faccio il nome di Torino. Sì, io fossi in me e vivessi altrove, mi trasferirei a Torino.
D) Perché? Nelle classifiche sulla qualità dell’aria solitamente non si piazza bene…
R) Milano è eccessiva. A Roma andrei, ma dovrei rassegnarmi a poter fare una sola cosa al giorno, perché è una città immensa e caotica, impossibile riuscire ad organizzarsi decentemente. La provincia è troppo piccola e alla lunga mi stritola. Prendiamo Parma: bella, ma soffocante, troppo mignon. Sento la necessità della metropoli intorno a me e del suo fervore. Torino mi dà la sensazione di guardare lontano, di avere un grande respiro, per questo mi convince in pieno.
D) Nei suoi molti viaggi a caccia di storie, però, spesso si è soffermata in provincia. Pensiamo a Ivrea, città di Adriano Olivetti. Perché portare in scena, a distanza di 20 anni, la vicenda Olivetti?
R) E’ stato un capitano d’azienda, allora ai vertici mondiali, capace di fare una cosa unica: coniugare persone, territorio, ambiente, fabbrica in una realtà sola. Io sono figlia della Fiat, ma avrei voluto che mio padre lavorasse nell’azienda di Olivetti. E’ stato un manager illuminato, sostenitore di un’industria dal volto umano, di un’economia fonte di progresso anche sociale e intellettuale.
D) E attento anche ai problemi della sostenibilità ambientale, in tempi pionieristici…
R) Ha scritto lui il primo piano regolatore mai esistito in Italia. Ivrea all’apoca faceva ancora parte della Val d’Aosta. E se certi territori di quella zona non sono scempiati, lo si deve alla lungimiranza di chi ha pensato che si potevano conciliare mani e spirito, economia e arte, e ha creduto che bisognasse stare in guardia, già allora, sulla natura non infinita delle risorse naturali.
D) Il suo prossimo progetto invece sarà sui disastri dell’Eternit, a Casale. Un altro racconto di fabbrica, ma questa volta “malafabbrica”.
R) Parte della mia famiglia proviene da quei territori vivissimi, allegri, positivi e gioiosi, che sono stati segnati mortalmente da un disastro industriale. E per paradosso, le famiglie delle vittime dell’amianto, ci hanno protetti tutti, con il loro flagello. Hanno costruito come uno scudo intorno a noi, perché hanno avuto la lucidità e l’energia, tra tanta rabbia, di mettere la loro tragedia a disposizione di tutti.
D) Lo spettacolo sarà su questo?
R) Sì, e se dovessi riuscire a convincere anche solo una persona a rinunciare alle vacanze per togliere le fibre di amianto dalla tettoia di casa - tremende, 1.300 volte più piccole di un capello - già avrò fatto la mia parte. Le famiglie di Casale ci proteggono tutti, senza delega. Hanno compreso che cos’è la responsabilità individuale.
D) Come raccontare tutto questo con il linguaggio del teatro?
R) Sto cercando il modo formale per portare sul palco quest’idea, queste emozioni. Perché ho capito che la gente tende a rimuovere i problemi dedicati alla salute, preferisce non pensarci. Il titolo dello spettacolo infatti denuncia, ma vuole anche portare un “consolo”, come si dice al Sud: creare un momento poetico e catartico, in cui, oltre ai veleni si comincino a creare anche gli antidoti affinché disgrazie legate all’amianto scompaiano per sempre.
Letizia Tortello