La via dei cantoni in Valchiusella. Come un ponte su acque agitate…
Ci si può innamorare di un ponte? Chi coltiva il mito infruttuoso dell’amore che nasce sul dorso dei ponti, può recarsi a Fondo in Valchiusella, per innamorarsi direttamente dell’amato viatico: il Ponte di Fondo, in località Traversella. E senza il problema della corrispondenza. Il ponte unisce sempre, per definizione.
Io non sono riuscito a resistere alla seduzione di questo ponticello sobrio come un arco, semplice come la pietra, bello come un bracciale d’argento sulla vena d’acqua del Chiusella. Se ne sta lì e congiunge due mondi: la strada asfaltata e il gruppo dei sentieri che si diramano e arrampicano la valle. Tra questi, la “Via dei Cantoni”.
Niente a che vedere con la Svizzera - tanto per non perdere l’orientamento.
I vecchi canton erano le borgate dalle piccole costruzioni in pietra (baiti), collegate tra loro da mulattiere e sentieri appartenenti all’antica località di Fondo.
La via dei cantoni è l’itinerario – ottimamente segnato e battuto – che collega dodici borgate alpestri comprese tra 940 metri e i 1300. Come si dice in lessico escursionistico, l’anello segue da una sponda all’altra il corso del Chiusella, con l’aiuto umile di una serie di ponti di pietra, tra cui il già citato ponte di Fondo, eretto nel 1727 – che pare alla vista molto più antico – e il ponte eretto in età romanica nei paraggi di Gaido che viene chiamato il Ponte del Diavolo.
Il sentiero richiede mezza giornata scarsa per essere interamente percorso ma non è particolarmente impegnativo. Per arrivare a Traversella, dove ha inizio la via dei cantoni, occorre regalarsi in avvicinamento qualche scorcio di Canavese, dei suoi laghi, dei suoi boschi e, ovviamente, della Valchiusella da cui si apprezza la vista lunare della Serra di Ivrea. Nella nostra “geografia mentale”, formatasi a pane e Copernico, la Serra si oppone al modello di una Terra “tondeggiante”, provocandoci una visione delle cose che sembra giungere a noi da sotto il cuscino di Tolomeo. Semplificando: la Terra/Serra è piatta – e noi che avevamo sempre pensato fosse tonda! Anzi, è una gigantesca collina piatta, e vederla provoca spesso il dubbio dell’allucinazione. In realtà, si tratta di un rilievo facente parte dell’anfiteatro morenico di Ivrea e formatosi in era glaciale (Quaternario), per lo scivolamento di residui dai ghiacciaci in formazione, verso la Pianura Padana. Ecco spiegato il motivo della suo infinito digradare, come di pianura pensile.
La via dei cantoni inizia già dagli 890 m. di altitudine della località Mulino di Chiara. A Fondo si è già a 1070 metri circa.Qui il sentiero diventa mulattiera e costeggia la sinistra idrografica del Chiusella. Durante la nostra camminata incontreremo appena tre persone: una coppia di uomo e donna più un cane, e un informatico dalla seconda vita sorprendente.
Lungo la strada incrociamo altri sentieri dai nomi suggestivi, come il sentiero delle anime o il sentiero dei mufloni. Non siamo fortunati e di mufloni non se ne vede l’ombra. In compenso, mi ritrovo con il piede in battuta a pochi centimetri da una salamandra incauta che attraversa la strada proprio al mio passaggio. Animale mitologico e figura araldica – nonché titolo di un album di Miguel Bosè dei dimenticabili anni Ottanta! - la salamandra è imperturbabile e lentissima, talmente plastica e armonica nei movimenti da sembrare finta. Non mi era mai capitato un contatto così intimo con questo animaletto preistorico.
Anime, mufloni, salamandre e uomini si muovono su questa valle dalle pietre nobili e dalle tradizioni minerarie -ferro, rame, tungsteno e le tante cave che dagli anni Venti del secolo scorso divennero proprietà dalla Fiat sotto il nome di delle Ferriere Piemontesi.
Prima ancora dell’abitato storico di Tallorno scopriamo uno dei tratti più belli dell’antropizzazione di queste borgate: le meridiane solari che compaiono miracolosamente pulite sui muri sbrecciati delle case e delle baite. Ne testiamo subito l’infallibile e semplicissimo funzionamento: sì, l’ombra che ritaglia lo spicchio di meridiana ci dice che sono le quattordici. E la nostra pigra ora satellittare risponde: quattordici e zero quattro!
Ed ecco Tallorno, a 1226 metri. La borgata si arrampica tra piccole baite, casette di rocca, cappellette votive e piccole aie a ridosso del Chiusella. Il borgo è deserto, senza un’anima, ma esprime uno strano senso di provvisorietà, come quando dal tabaccaio si trova scritto su un biglietto all’ingresso “torno subito”. Molte di queste case sembrano custodire del “vissuto”, e talvolta lo tradiscono anche all’esterno: un sacchetto della spazzatura che qualcuno s’è scordato di buttare, un giornale, un grembiule.
Proprio mentre io e Zavorra fantastichiamo su questo recesso così inospitale per la civiltà – un vero borgo alpestre
- e immaginiamo cordate di famigliole camminatrici che nella bella stagione vengono a stare qui con armi e bagagli partendo da Traversella, incontriamo un signore di ritorno da una escursione serissima nei dintorni. Mauro che nella sua prima vita fa l’informatico, nella seconda fa il cercatore di erbe. Lui si definisce erbolaro ed è anche uno piuttosto riconosciuto nel suo ramo – non quello informatico, l’altro – avendo pubblicato un paio di libri sulle erbe e le loro proprietà. Ci rivela che, in realtà, esiste una strada per giungere in auto fino a Tallorno, utilizzata da tutte le famiglie che vengono a villeggiare. Addio poesia.
Sulla punta estrema di Tallorno, si scavalla nuovamente il Chiusella, su uno dei tanti bellissimi ponticelli di pietra. Prima di tornare alla civiltà sarà bene salutare un’ultima volta il ponte di Fondo, magari chiacchierando con due vecchietti del posto, lì in cima all’arco. Like a bridge over troubled water…
Orlando Manfredi