“La transizione alla green economy”: il nuovo libro di Edo Ronchi fa il punto sul cammino in corso
Mercoledì 9 maggio a Roma si terrà il “meeting di primavera” per celebrare i 10 anni di attività della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. In questa occasione verrà presentato il nuovo libro del presidente della Fondazione ed ex ministro Edo Ronchi, “La transizione alla green economy” (Edizioni Ambiente, pagg. 216, 18.00 euro), che traccia un quadro approfondito dell’evoluzione attuale dell’economia verde in Italia e nel mondo. Per “Racconti d’ambiente” pubblichiamo un estratto del paragrafo 3.2, intitolato “Il percorso della transizione alla green economy”.
La transizione alla green economy punta a realizzare uno sviluppo sostenibile quale sviluppo umano capace di futuro, nel quadro di un’economia ecologica e sociale di mercato, regolata e indirizzata con le policy che vedremo più avanti. La transizione alla green economy è alternativa a un’economia fondata sul consumare e produrre sempre di più qualunque cosa e su meccanismi che alimentano crescenti disuguaglianze, perché punta su uno sviluppo umano basato su un migliore benessere e sull’inclusione sociale, entro uno spazio ecologico sicuro.
La transizione alla green economy punta su una crescita qualitativa e quantitativa selettiva: mira a far crescere molte attività – come sta accadendo e come meglio vedremo nella parte successiva dedicata ai settori economici chiave di questa transizione – e a cambiarne e riqualificarne molte altre. Si pensi, per esempio, ai grandi mutamenti richiesti al settore automobilistico per il passaggio dalle auto diesel e benzina a quelle elettriche, ibride e a biometano, o a quelli richiesti per il passaggio a forme di uso invece che di possesso dei beni. Punta infine anche a farne cessare alcune insostenibili, come quelle relative ai combustibili fossili, principali responsabili dell’emissione dei gas serra, a partire dal carbone, oppure le centrali nucleari che producono rifiuti radioattivi per decine di migliaia di anni, pericolosi e incompatibili con un modello circolare di economia.
La scelta selettiva dei settori e delle attività economiche da sviluppare, da convertire o da abbandonare, le modalità per dare seguito a queste scelte in un’economia di mercato e i tempi dell’attuazione sono i veri nodi della transizione alla green economy: nodi che vanno posti con chiarezza e affrontati. La transizione alla green economy trae forza e legittimazione dal confronto con l’economia tradizionale, la brown economy – che comprende le attività basate sui combustibili fossili, su elevati impatti ambientali e alti consumi di risorse – inadeguata sia ad affrontare la necessità di una maggiore inclusione sociale, sia a fermare la crisi climatica, il degrado ambientale e l’esaurimento delle risorse. La premessa di una competizione ad armi pari fra la green economy e la brown economy è la conoscenza e la consapevolezza del valore dei costi e dei benefici in gioco.
L’OCSE – l’Organizzazione per lo sviluppo economico che comprende 35 paesi con economie di mercato – da qualche anno promuove un progetto di crescita di una green economy che dovrebbe assicurare, al contempo, un elevato livello di tutela ambientale e una nuova fase di crescita economica. Per questo punta su un uso più efficiente delle risorse naturali e dell’energia, sullo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, sulla tutela e valorizzazione degli asset naturali, sull’incremento del benessere e della qualità della vita, sulla ricerca e l’innovazione, sullo sviluppo di beni e servizi di qualità ecologica e sull’uso coerente di strumenti economici e fiscali. In un rapporto pubblicato alla vigilia del G20 di Amburgo (Green Growth Indicators, 2017), l’OCSE ha fatto il punto rilevando che, pur in presenza di importanti cambiamenti in atto, ancora non siamo in una traiettoria di transizione alla green economy. Sarebbe invece possibile, osserva l’OCSE, affrontare le problematiche ambientali incoraggiando l’innovazione, i cambiamenti nelle produzioni e nei consumi, alimentando una nuova crescita economica verde.
Nelle politiche, secondo l’OCSE, si registrano indirizzi non omogenei: alcuni positivi, altri no. La spesa pubblica per ricerca e sviluppo è in crescita, ma la parte dedicata all’ambiente e alle energie rinnovabili è stagnante. I settori che producono beni e servizi ambientali sono in crescita e sta crescendo anche il loro mercato internazionale, ma persistono settori tradizionali dove gli indirizzi green incontrano difficoltà. L’uso della fiscalità ecologica sta aumentando, ma rimane di entità modesta rispetto a quella sul lavoro. I flussi finanziari internazionali che supportano la green economy si stanno evolvendo e i green bond sono cresciuti, ma i grandi flussi finanziari continuano a seguire dinamiche tradizionali. Gli incentivi alle rinnovabili hanno superato quelli ai fossili, ma troppo spesso i governi continuano a incentivare anche le fonti fossili (OCSE, 2017). Per certi versi, quindi, osservando i cambiamenti già in atto, si potrebbe anche dire che la transizione alla green economy sia già almeno in parte avviata, ma è altresì evidente che non basta: i tempi della sua attuazione sono troppo lunghi perché il processo di cambiamento è troppo lento e contraddittorio e la sua estensione è ancora troppo limitata.
Nicholas Stern, già capo economista della Banca Mondiale, riferendosi al cambiamento climatico, ma con considerazioni valide anche per la green economy, evidenzia come l’attesa e il rinvio delle trasformazioni economiche necessarie abbiano un costo molto elevato (Stern, 2015). Il McKinsey Global Institute ha stimato che al 2014 le perdite in termini di valore aggiunto sono già al 3,1% per il degrado del capitale naturale, all’1,6% per la congestione, all’1,4% per lo spreco alimentare e all’1,3% per il cambiamento climatico e che tutti questi costi sono in rapida crescita. Consentendo l’ulteriore accumulo dei gas serra in atmosfera e il degrado del capitale naturale, i danni e i costi per la cattura e lo stoccaggio della CO2 e per bonifiche e ripristini del capitale naturale, nonché quelli conseguenti al cambiamento climatico e alla crisi ecologica, saranno sempre più ingenti, molto superiori alla riduzione dei costi attesi dal progresso delle tecnologie che impiegheremo per farvi fronte. I modelli di business che risultano incapaci di tenere conto di questa dinamica o sono basati su logiche solo a breve termine o sono sbagliati perché sottovalutano gli impatti economici della crisi climatica ed ecologica. Se la strada è ormai indicata, non è vero che chi parte dopo accumula vantaggi. Nell’immediato chi parte prima sostiene prima le spese di viaggio, ma con questo investimento si porta avanti e acquisisce vantaggi rispetto a quelli che dovranno fare la stessa strada dopo, più tardi. Infatti, non è tanto in discussione se la transizione alla green economy si debba fare, ma con quali tempi e con quale ampiezza, perché se non viene realizzata in tempi ragionevolmente brevi e in modo ampio, coinvolgendo la gran parte dell’economia (e non solo di nicchia, come vorrebbero alcuni, sovente non disinteressati), sarà meno incisiva e più onerosa, con costi non solo economici, ma anche ambientali e sociali più elevati, anche molto più elevati.
Edo Ronchi*
* Nominato presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile nel settembre del 2008, è nato a Treviglio (BG) nel 1950. Vive a Roma dal 1978, coniugato e con tre figli, è laureato in Sociologia all’Università di Trento. È stato docente di progettazione ambientale, corso di laurea in Architettura del Paesaggio, presso l’Università la Sapienza di Roma, è stato parlamentare, docente universitario e Ministro dell’Ambiente. Fra i fondatori dei Verdi Arcobaleno alla fine degli anni Ottanta e della Federazione dei Verdi all’inizio degli anni Novanta. Dal 2008 ha lasciato il Senato e non si è ricandidato, né ha più assunto incarichi politici, dedicandosi a tempo pieno ad attività di studio, ricerca e formazione, in particolare con la Fondazione per lo sviluppo sostenibile.