La sostenibilità nelle pillole di Gianfranco Bologna: il futuro del Pianeta è nella resilienza
Per la rubrica “Racconti d’Ambiente“, pubblichiamo oggi un estratto del libro “Sostenibilità in pillole“, di Gianfranco Bologna, edito da Edizioni Ambiente. Il volume prova a tracciare una via di sviluppo diversa da quella attuale, e mette insieme, come tessere di un mosaico, 25 brevi capitoli che sintetizzano le conoscenze più avanzate su tutti gli aspetti della sostenibilità. L’elenco dei temi trattati è esaustivo, e consegna a ogni lettore i concetti per immaginare un futuro diverso e davvero sostenibile. Di seguito pubblichiamo il quinto capitolo, dal titolo “Sostenibilità è resilienza“.
Il concetto di resilienza è sempre più diffuso e utilizzato in diverse discipline. La resilienza viene considerata come la capacità che un sistema (quindi anche un sistema naturale, un sistema sociale, un essere umano ecc.) ha di rispondere positivamente alle perturbazioni che lo possono disturbare. Normalmente, la resilienza è la capacità che consente al sistema che ha subito una perturbazione di reagire e di tornare allo stato precedente alla perturbazione.
Ma in questo senso la resilienza sembrerebbe assimilabile anche al concetto di resistenza che, appunto, richiama la capacità di un sistema, per esempio, ecologico, di mantenere il suo stato, nonostante la pressione operata dalla variabilità delle condizioni ambientali e delle perturbazioni.
Ma la resilienza nel campo della sostenibilità ha un significato certamente più ampio, non riconducibile a un concetto di resistenza, e alla resilienza sono dedicati interi centri di ricerca oltre che un coordinamento internazionale di diversi istituti scientifici e università, coinvolte nell’approfondimento teorico e pratico della resilienza.
In passato, in ecologia il concetto di resilienza è stato utilizzato in maniera molto simile al modo in cui viene utilizzato in ingegneria. Infatti l’ecologo Eugene Odum scrive: “La stabilità di resistenza rappresenta la capacità di un ecosistema di resistere alle perturbazioni (disturbi) e mantenere la sua struttura e funzione intatte. La capacità di resilienza rappresenta la capacità di recupero quando il sistema è modificato da perturbazione”.
Tutto il lavoro di Odum sottolinea la natura cibernetica degli ecosistemi. Odum è stato infatti un pioniere nell’applicazione all’ecologia dei moderni avanzamenti scientifici che negli anni Sessanta-Settanta vi furono nell’analisi dei sistemi, nell’energetica e nella cibernetica (lavoro in cui ebbe un ruolo molto rilevante anche suo fratello Howard, anch’egli ecologo – Eugene e Howard sono scomparsi nel 2002).
Eugene Odum scrive: “Con l’incremento di uno stress, il sistema, sebbene controllato, potrebbe non essere capace di ritornare esattamente allo stesso livello di prima”. Infatti C.S. Holling ha sviluppato una teoria ampiamente accettata, per la quale le popolazioni e, per inferenza, gli ecosistemi hanno più di uno stato di equilibrio, e dopo una perturbazione spesso ripristinano un equilibrio differente dal precedente.
Crawford Holling ha avuto senz’altro il merito di aver applicato all’ecologia gli avanzamenti delle analisi dei sistemi adattativi complessi, fornendo all’ecologia stessa e, conseguentemente, alle discipline dell’ecologia applicata, della gestione degli ecosistemi e alla visione integrata di ecologia, economia e scienze sociali (e quindi della scienza della sostenibilità), contributi molto importanti.
In un articolo apparso su Ecology and Society Holling, insieme a Walker, Carpenter e Kinzig, fa il punto sui concetti fondamentali che determinano il comportamento dei sistemi ecologici e sociali. Credo valga la pena riportare brevemente alcune delle loro conclusioni.
A oggi gli studiosi della resilienza hanno riconosciuto quattro caratteristiche della resilienza che sono state definite latitudine, resistenza, precarietà e panarchia.
Per latitudine si intende l’ammontare massimo entro cui un sistema può cambiare senza perdere la propria abilità al recupero (prima, quindi, di oltrepassare una “soglia” che, una volta sorpassata, può rendere difficile o impossibile il recupero stesso). La resistenza costituisce invece la facilità o la difficoltà di cambiare il sistema, o meglio, quanto e come il sistema è complessivamente resistente al cambiamento. La precarietà indica quanto sia vicino l’attuale stato di un sistema a un limite o una soglia. La panarchia è un termine che viene utilizzato per ricordare che, a causa delle interazioni che hanno luogo a diverse scale, la resilienza di un sistema a una particolare scala dipenderà dalle influenze degli stati e delle dinamiche alle scale che hanno luogo al di sopra o al di sotto del sistema stesso.
Un concetto molto significativo che possiamo considerare l’inverso della resilienza è appunto quello di vulnerabilità. Un sistema ecologico o sociale è vulnerabile quando perde le sue capacità di resilienza e subisce il mutamento che in precedenza riusciva ad assorbire. Il costo ambientale, economico e sociale che potremmo pagare, se ciò dovesse aver luogo, potrebbe infatti essere altissimo.
Si sono già tenute due conferenze internazionali dedicate alla resilienza. Si è trattato di eventi molto importanti, mirati a fare il punto sullo stato delle ricerche e su quanto sino a ora è stato raggiunto in questo campo di analisi. L’approccio trans e inter disciplinare, di contaminazione tra differenti discipline e tra approcci teorici e pratici innovativi che riguardano la sostenibilità dei sistemi socioecologici è stato al centro delle numerosissime relazioni presentate e dei tanti panel organizzati durante queste conferenze. Nella preparazione della seconda conferenza, gli organizzatori hanno sottolineato quanto il concetto di sostenibilità si concentri particolarmente sulla comprensione di come i cambiamenti provocati nel sistema socio-ecologico globale impattano sul benessere umano e sullo sviluppo sociale ed economico, mentre il concetto di resilienza si focalizza sulla comprensione di come il sistema socio-ecologico si auto-organizza e si trasforma nel tempo e di come sia quindi anche capace di modificare e adattarsi ai cambiamenti.
La sostenibilità e la resilienza sono concetti strettamente connessi fra loro, e dovrebbero condizionare l’azione della politica, sia nella governance sia nella gestione dei sistemi socio-ecologici complessi. Andando a curiosare tra le tante relazioni presentate in queste conferenze si nota l’intreccio tra scienza della sostenibilità, ricerche sulla resilienza, analisi dei sistemi socio-ecologici, scienza della complessità e scienze del sistema Terra. Le ricerche presentate dimostrano quanto le indagini sulla resilienza ci conducono a campi di frontiera, a importanti situazioni transdisciplinari, ad analisi approfondite delle interrelazioni esistenti tra i sistemi sociali e naturali e all’approfondimento degli effetti dei cambiamenti locali e globali prodotti dall’intervento umano sulla naturale evoluzione dei sistemi naturali.
Il recente rapporto dell’High Level Panel on Global Sustainability, voluto dal Segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-moon, ha un titolo che, non a caso, riprende il concetto di resilienza: Resilient People, Resilient Planet: A future worth choosing. Ho trovato molto interessanti, nel titolo, i riferimenti alla resilienza delle popolazioni e del pianeta e al futuro che vale la pena scegliere. Sembra che il lavoro scientifico che sempre di più lega gli studiosi delle scienze naturali e quelli delle scienze sociali attorno al concetto di resilienza stia finalmente contaminando la politica internazionale.
Nella lettera con la quale trasmettono il rapporto al Segretario generale delle Nazioni unite, i due presidenti del Panel, che sono la presidentessa della Finlandia Tarjia Halonen e il presidente del Sud Africa Jacob Zuma, scrivono chiaramente che, con sette miliardi di abitanti sul nostro pianeta, è ormai tempo di riflettere seriamente sui nostri modelli di sviluppo. Oggi ci troviamo di fronte a un bivio. Continuare sulla stessa strada significa mettere tutta la popolazione mondiale e il nostro pianeta in una situazione di alto rischio. Cambiare strada ci consente di sfruttare una straordinaria opportunità, ma dobbiamo essere ben consapevoli e responsabili di quanto ciò richieda un forte coraggio e un forte impegno. Cambiare strada non è affatto semplice. Ma di certo perseguire una strada più sostenibile significa maggiore benessere e sicurezza per l’umanità intera, significa una giustizia globale migliore, un rafforzamento dell’equità di genere e la sana conservazione dei sistemi naturali di supporto della vita presenti sulla nostra Terra.
Nel paragrafo iniziale relativo alla “visione” del Panel, i membri del Panel stesso fanno presente che oggi il nostro pianeta e il nostro mondo stanno sperimentando, insieme, tra i tempi migliori e peggiori che si siano mai avuti. L’umanità è in una situazione di prosperità senza precedenti, mentre il pianeta è sottoposto a livelli di stress mai raggiunti prima. La diseguaglianza tra ricchi e poveri nel mondo continua a crescere e più di un miliardo di persone vive ancora in situazioni di profonda povertà. In molti paesi stanno crescendo ondate di proteste che riflettono le aspirazioni universali per un mondo più prospero, più giusto e più sostenibile.
Il rapporto si inserisce nel solco di quanto già prodotto dalla comunità internazionale con il Rapporto Brundtland del 1987, del quale abbiamo già parlato. Oggi la situazione globale che si trova davanti l’High Level Panel on Global Sustainability è, senza alcun dubbio, peggiorata, e il tempo e le capacità che abbiamo a disposizione per cambiare rotta e trarne i sacrosanti benefici vanno purtroppo restringendosi. L’opportunità per dettare un’agenda importante per impostare una nuova economia e una nuova governance istituzionale internazionale per rendere concretamente applicabile la sostenibilità non può essere più dilazionata.
Sappiamo bene che le società umane sono parte integrante della biosfera. Per questo, le ricerche nel campo della sostenibilità, della resilienza, della vulnerabilità dei sistemi socio-ecologici stanno diventando sempre più importanti e significative anche per il mondo politico ed economico, come è stato ulteriormente dimostrato anche nella seconda conferenza internazionale sulla resilienza, e dovrebbero diventare patrimonio culturale di un numero sempre maggiore di persone. Mi auguro che libri come quello che state leggendo possano servire ad accrescere la familiarità con questi argomenti e a fornire i contributi necessari per farci cambiare rotta.
Gianfranco Bologna*
*L’autore è direttore scientifico e responsabile dell’area sostenibilità del WWF Italia. È segretario generale della Fondazione Aurelio Peccei, che rappresenta il Club di Roma in Italia. Svolge da 40 anni attività di divulgazione, di didattica e di progettualità sui temi della conservazione della natura e della sostenibilità, e dal 1999 al 2009 ha insegnato sostenibilità dello sviluppo all’Università di Camerino.