La sfrenata coltivazione di charas e l’erosione del terreno
Il viaggio intorno al mondo del nostro corrispondente Carlo Taglia prosegue, a piedi, nelle valli indiane, dove la coltivazione di “charas” rischia di distruggere, irreversibilmente, terreni fertili che potrebbero essere destinati all’agricoltura con scopo alimentare.
La Parvati Valley è situata nella regione indiana Himachal Pradesh e dalle vette himalayane che circondano la valle nasce l’ononimo fiume. In questa regione l’elevato numero di fiumi himalayani produce il 50% dell’energia consumata da tutta l’India attraverso imponenti impianti idroelettrici. Questo tipo di energia è certamente riconosciuta come energia “pulita”, ma all’occhio può sembrare che gli indiani abbiano un po’ esagerato con la costruzione di dighe nella zona. Le troppe vasche di cemento, che bloccano il naturale flusso dei fiumi, hanno infatti un forte impatto ambientale e i paesaggi montani perdono indubbiamente fascino.
Oltre agli interessanti itinerari escursionistici, tra passi montani e pozze termali, la Valle di Parvati è però conosciuta per l’intensa coltivazione di charas (la marijuana). In questa zona si ricava hashish attraverso un metodo di estrazione antico. Non si tagliano le piante, ma durante il periodo di fioritura i coltivatori sfregano le mani piu’ volte sulle estremita’ fiorite della pianta per poi raschiare via, dalle mani, la resina gommosa con un coltellino, ricavando una sostanza fresca che viene abbondantemente fumata dai locali. I campi di charas si notano dappertutto e durante i trekking se ne scoprono alcuni che arrivano fino a 3.000 metri. Ora che siamo a dicembre, la raccolta è terminata e si preparano i campi per l’anno nuovo. L’aria però non è limpida, perché ci sono alcuni incendi in luoghi “ottimali” per la coltivazione. L’elevata richiesta mondiale (illegale) di charas e lo sviluppo sfrenato di questo “fiorente mercato” sta causando un’altrettanta sfrenata crescita di campi nella valle. Per comodità e per velocizzare le operazioni, quando trovano una zona ben irraggiata e adatta allo scopo, i coltivatori indiani bruciano le erbacce di campo o gli arbusti di sottobosco. Osservando la valle dall’alto è impressionante il numero di incendi che punteggia il paesaggio. I contadini utilizzano anche piccoli campi vicino alle case, ma l’intervento repressivo della comunità internazionale li ha spinti a cercare campi isolati e più sicuri, sempre più in alto, sperduti tra le montagne.
La polizia indiana non è sufficientemente interessata a frenare la crescita di questo ricco mercato e il “lavoro sporco” è stato demandato a squadre narcotici americane e francesi, intervenute negli anni scorsi. Le squadre arrivano nella valle e, individuati i campi più accessibili, sradicano le radici delle piante. Il problema dello spaccio di charas è diventato, ormai da tempo, una questione mondiale più che indiana. Vista con l’occhio dei locali, infatti, questa “risorsa” ha sviluppato, nella valle, un crescente turismo di giovani hippy israeliani. La polizia indiana inoltre guadagna con i controlli che effettua a fondo valle, sull’unica strada accessibile per i luoghi più battuti dallo spaccio. Chi viene colto in flagrante, con possesso di charas in dosi minori paga il baksheesh, una mazzetta salata. Per dosi maggiori, o nel caso non si possa pagare la mazzetta, si rischia invece la galera.
Il ritmo a cui bruciano i campi è incessante perchè dalla cenere resta solo carbonio, il principale composto delle piante. Attraverso una monocoltura si avrà una prima annata di alta qualità per poi perdere fertilità dai raccolti seguenti. Bruciando il terreno si perde cioé, sempre più, il valore vegetale e si possono effettuare pochi raccolti. I grandi campi isolati, del resto, non vengono curati, si utilizzano per 2 o 3 anni e, in seguito, si cercano altri campi da bruciare. Questo fenomeno causa l’erosione del terreno che, perdendo lo stato vegetale, si trasforma in sabbia. Un fenomeno tristemente noto anche in Marocco, il più sviluppato mercato dell’hashish internazionale, dove, nella valle di Ketama, si trovano ormai numerosissimi campi erosi e non più utilizzabili. I contadini della Parvati Valley rischiano di consumare irrimediabilmente la loro terra, come già sta succedendo in Marocco. Le generazioni future subiranno le conseguenze di questo fenomeno rischiando di non poter sviluppare nuove forme di agricoltura.
Inutile spiegare agli abitanti della regione che la coltivazione e lo spaccio di charas sono illegali: da diverse generazioni questo e’ il loro unico business e frutta talmente tanto che hanno smesso di coltivare altro. Praticamente quasi tutto il loro guadagno deriva da questo mercato e difficilmente ci rinunceranno. Salvo che prevalga un modello come si è sviluppato a Darjeeling, nell’India nordorientale, dove sta prendendo piede la coltura biodinamica. La utilizzano per piantagioni di tè (camellia sinensis). Questo tipo di agricoltura, nata per stimolare una coltivazione in totale armonia con la natura, permette infatti di arricchire le caratteristiche vegetali del terreno per poterlo utilizzare con continuità e ottenere una qualità migliore. L’agricoltore, in questo caso, prepara direttamente i composti utilizzando elementi fetilizzanti naturali, come il letame, e foglie secche come antiparassitari. Ma soprattutto contrastando il devstante effetto di erosione dei terreni.
Carlo Taglia
Le riflessioni di viaggio complete di Carlo Taglia, documentate con foto e video, sono disponibili sul blog: http://karl-girovagando.blogspot.com/