La sequoia gigante di Reggello, ultima custode di villa Panciatichi, abbandonata al degrado
Proseguono i racconti della serie “Giona degli Alberi“, scritti in esclusiva per Greenews.info da Tiziano Fratus, il cercatore d’alberi in viaggio alla ricerca delle sequoie monumentali italiane. La quarta puntata è dedicata alla sequoia di Leccio (Reggello), in provincia di Firenze.
Anche in terra di Toscana non mancano le sequoie. A sud di Firenze c’è il comune di Reggello; Leccio è una frazione dominata da un monte sulla cui cima esiste, da secoli, un edificio, dapprima un castello che venne acquistato nel 1816 da Niccolò e Ferdinando Panciatichi. I due fratelli fanno rimaneggiare l’edificio che diventa una splendida villa neogotica e dalla metà dell’800 iniziano a mettere a dimora alberi lungo i sentieri e nel parco, che viene disegnato dinnanzi alla facciata dell’edificio: Calocedrus decurrens, Cedrus atlantica var. glauca, Cedrus libani, Chamaecyparis lawsoniana, Sequoia sempervirens ed alcuni esemplari di Sequoiadendron giganteum, di cui oggi ne resta invero soltanto uno.
Una scheda pubblicata nel sito del Comune di Reggello comunica che la sequoia più alta tocca i 46 metri di altezza e ben 57 superano i 35 metri di altezza. Questo dato è estrapolato da “Parchi della Toscana” (I ed. 1982, II ed. 1989) scritto nientemeno che dal curatore dei giardini di Boboli, Ferdinando Chiostri. Questa preziosa fonte di informazioni segnala quale anno di messa a dimora delle sequoie il ‘51: «Da una relazione stesa nel 1890 da Maria Paolucci, figlia del Panciatichi (Ferdinando), sappiamo che le sequoie vennero poste a dimora intorno al 1851, e che per il primo esemplare fu sborsata una somma assai ingente: al tempo in cui scriveva la Paolucci erano ancora in vita esemplari di soltanto 37 dei 134 generi botanici piantati dal padre. Tra questi Araucaria, Sequoia Taxodium, Criptomeria, Biota, Thuja, Thuiopsis, Libocedrus, Taxus, Cephalotaxus, Cupressus (varie specie), Pinus, Abies, varie palme, Yucca, Quercus (di varie specie)oltre ad alcune piante di esclusivo interesse floricolturale».
I Panciatichi si rifornivano a Firenze presso il vivaio del francese Burnier. Arrivati a Leccio si giunge in Piazza Marin, si sale per via Fratelli Bandiera, si imbocca una strada sterrata. Al bivio se si procede a destra si arriva in uno spiazzo dove dominano sette sequoie altissime e con tronchi fino a cinque metri di circonferenza, proseguendo oltre si avvista la maggiore delle sequoie oggi qui presenti, denominata Sequoia Gemella. Un enorme tronco fuso per circa tre metri da cui si innalzano due sequoie ultrasecolari, a diapason. Ho misurato personalmente il tronco: 842 cm a petto d’uomo. Vale la pena di osservare il patriarca da diversi punti di vista. Se al bivio si svolta a sinistra, si parcheggia di fronte ad una sbarra rossa e si sale a piedi lungo un sentiero sterrato e alberato prevalentemente a sequoia. Nel primo tratto ci sono esemplari relativamente giovani, prima della cima un lungo sentiero a ferro di cavallo offre invece la visione di una spettacolare alberatura di molti esemplari altissimi e massicci. Gli alberi sono dotati di targhetta numerica. La n° 68 ha una circonferenza del tronco di 480 cm, la n° 71 di 416 cm, la n° 83 di 478 cm, la n° 93 di 520 cm, la n° 98 di 574 cm e mi pare la più grande di quest’area. Un prato occupa lo spazio interno al ferro di cavallo, in fila indiana sono state messe a dimora quattro sempervirens, l’unica sequoia gigante ancora viva e un bel calocedro. La sequoia gigante supera i trenta metri di altezza e ha una circonferenza del tronco pari a 500 cm.
Arrivati in cima ed evitato un orribile ecomostro in cemento che qualche essere umano è riuscito a piazzare a poche decine di metri dalla villa, si può ammirare la meravigliosa invenzione dell’edificio, con guglie, scalinate simmetriche, un portone a botte modello Hobbit della Contea con tanto di colonne tozze. Ma ahimè la villa sta cadendo a pezzi, questo splendido monumento è abbandonato. Il parco che le sta di fronte è popolato di grandi cedri del Libano e cedri dell’Atlante, oltre a due sparute sequoie che dovrebbero fare da sentinella. A constatare quest’ennesimo scempio del patrimonio storico e artistico d’Italia si resta davvero privi di parola. E si capisce che il problema non è soltanto della classe politica, ma dell’intero paese.
Tiziano Fratus