La perdita della biodiversità costa all’UE 450 miliardi di euro
“Più dei tre quarti dei principali habitat naturali nell’UE sono attualmente in condizioni insoddisfacenti e molte specie sono a rischio di estinzione”. È quanto emerge della revisione intermedia della strategia per il 2020 dedicata alla biodiversità che la Commissione Europea ha appena pubblicato.
Scopo della revisione della strategia UE sulla biodiversità è valutare se siamo sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro la fatidica data del 2020 – alla quale fanno riferimento molte delle politiche dedicate alla sostenibilità ambientale. Qualche passo in avanti l’Unione Europea l’ha sicuramente fatto. Ma la perdita di biodiversità sembra inarrestabile e sarà molto difficile arrivare ai risultati fissati in 5 anni. Con tutto quello che ne consegue in termini di ricadute sull’ambiente e costi economici.
Innanzitutto, occorre fare molto di più, in concreto, per tradurre le politiche dell’UE in azione. Dal dire al fare… E questo è impossibile senza l’impegno degli Stati Membri, ai quali spetta il compito di attuare la legislazione UE in materia di protezione della natura. L’effettivo arresto della perdita di biodiversità dipende, infatti, soprattutto da quanto efficacemente le questioni legate alla biodiversità sono integrate nelle politiche in materia di agricoltura, silvicoltura, pesca, sviluppo regionale e commercio. Dal canto suo la Commissione sta attualmente effettuando un controllo dell’adeguatezza (check-up) delle Direttive Uccelli e Habitat, per verificare se stiano raggiungendo gli obiettivi nel modo più efficiente. Inoltre, la strategia dell’UE per le infrastrutture verdi, quando sarà attuata, dovrebbe comportare vari benefici per una serie di settori, comprese proprio l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca.
Le specie esotiche invasive sono, tra le altre cose, una delle più temute minacce alla biodiversità in Europa. Un fenomeno in allarmante crescita che causa danni significativi con un costo pari ad almeno 12 miliardi di Euro l’anno. Un problema al quale cerca di porre rimedio un Regolamento da poco entrato in vigore mentre, parallelamente, si sta lavorando per definire, entro l’inizio del 2016, un elenco delle specie invasive valido per l’intero territorio UE.
In termini strettamente economici, invece, la perdita della biodiversità costa in generale all’UE il 3% del PIL aggregato, circa 450 miliardi di euro ogni anno. Senza contare le ricadute in termini occupazionali. I siti di interesse Natura 2000, la rete di protezione europea della biodiversità, impiegano circa 12 milioni di persone a tempo pieno fra agricoltura, foreste, pesca e turismo. Sono aree che occupano quasi un quinto del territorio dell’Unione e il 4% della superficie marina.
Ma se da un lato le istituzioni UE sono forse troppo timide quando si tratta di prendere decisioni in campo ambientale, che dire della società civile? L’altra controparte pare non essere poi così tanto consapevole del problema. Almeno da quanto emerge da una recente indagine Eurobarometro dedicata al tema della biodiversità, la cui pubblicazione coincide proprio con quella della revisione firmata dall’Esecutivo di Bruxelles.
Secondo il sondaggio, uno dei primi problemi è proprio la conoscenza dell’argomento. Solo il 60% dei dei 28mila cittadini europei intervistati ha, infatti, sentito parlare di biodiversità e il 73% non conosce la Rete Natura 2000. In generale, però, tutti considerano l’inquinamento (62%) e i disastri provocati dagli uomini (60%) fra le cause principali della perdita di biodiversità.
Il Commissario responsabile per l’Ambiente, gli affari marittimi e la pesca, il maltese Karmenu Vella, ha spiegato che “abbiamo compiuto progressi e ci sono esempi validi da seguire, ma resta tanto da fare per colmare le lacune e raggiungere gli obiettivi in materia di biodiversità all’orizzonte 2020. Perdere biodiversità significa perdere il nostro sistema di sostegno alla vita. Non possiamo permettercelo”.
Beatrice Credi