L’eminenza grigia del “Made in Eataly”. Intervista a Piero Alciati
Piero Alciati proviene da una famiglia maestra dell’alta cucina piemontese: figlio del celebre Guido da Costigliole e della “regina” degli agnolotti al plin, Lidia, è enologo e responsabile della ristorazione presso Eataly a Torino. E’lui, in sostanza, l’eminenza grigia dietro molte scelte del patron Oscar Farinetti.
D) Piero, come riesce a coniugare l’esperienza e la tradizione artigianale in cucina, tramandate dalla sua famiglia, con le nuove formule di accesso “allargato” all’eccellenza enogastronomica, come quella proposta da Eataly?
R) Per me è lo stesso lavoro svolto da due punti di vista differenti. Sicuramente la differenza maggiore la fanno i numeri: da Guido per Eataly si lavora su 800.000 coperti l’anno. La quantità di prodotti che vengono lavorati è grande rispetto a quella con cui abbiamo a che fare nel locale di Pollenzo. Anche tempi e modi sono completamente differenti. Si tratta di ristorazione fatta da una parte “col fioretto” e dall’altra “con la spada”. Ma in entrambi i casi noi stiamo in piedi ed il cliente seduto, e quindi l’attenzione e la cura devono essere le stesse. E’ stimolante fare le due cose in parallelo, perché l’esperienza maturata in un ambito aiuta a lavorare meglio anche nell’altro.
D) In che modo la filosofia di Slow Food e la sua attenzione per aspetti come la sostenibilità dei prodotti e delle scelte alimentari influenzano Eataly, il primo grande “mercato degli alti cibi”?
R) Eataly basa il suo business su tre elementi che sono: il mercato, la ristorazione e la didattica. E Slow Food, che ha fatto dell’insegnamento, della comunicazione e della diffusione delle idee le sue strategie trainanti, il suo modus operandi, si combina perfettamente con l’attività di Eataly. Slow Food ci segnala prodotti e produttori e ci trasmette un modo di essere e una filosofia di vita, di approccio al buono, pulito e giusto che Eataly cerca di coniugare dal punto di vista commerciale per il grande pubblico.
D) Cosa ne pensa dei prodotti da agricoltura biologica e biodinamica e in particolare dei vini, che hanno conquistato la scena negli ultimi saloni, da Vinitaly a Merano?
R) Io penso che tutto il lavoro, e quello per produrre il cibo in particolare, meriti rispetto. Quella del biologico e biodinamico è una scelta sicuramente apprezzabile, anche se forse negli ultimi tempi la parola “biologico” è stata talmente usata da essere anche un po’ svuotata di significato… quindi cerco di non fossilizzarmi su questo, anche se credo che sia fondamentale, come approccio di coscienza e laddove sia possibile, preferire ciò che è più sostenibile dal punto di vista ambientale, più equo e più giusto. Per quanto riguarda i vini biologici, il discorso è un po’ lo stesso: penso che, come il “buono” e il “cattivo” si trovano tra gli altri vini, anche nella categoria del biologico si trovi il buono ed il meno buono. Ben venga se dal punto di vista dell’ambiente si riesce a fare qualcosa di più pulito e, insieme, più buono, a patto che lo sia davvero. Perché l’aspetto del gusto, per quanto mi riguarda, diventa fondamentale. Non mi interessa tanto il “bello”: prendiamo ad esempio la solita mela, che possiamo trovare comunemente in commercio nella distribuzione normale, lucida, levigata, in molti casi “plastificata”, o piuttosto la mela brutta, taccata, che si può trovare nei mercati del biologico. Io non guardo tanto l’una o l’altra provenienza: a me interessa la bontà del prodotto.
D) Regionalità e stagionalità. Considera anche questi valori per una buona cucina?
R) Tutto quello che facciamo ha una componente attenta alla stagionalità. Il concetto di buono, pulito e giusto si estrinseca soprattutto in queste scelte. È importante capire che ogni stagione offre i suoi prodotti. A Pollenzo teniamo un particolare rigore su quest’aspetto, e prima ancora a Costigliole, dove lavoravo con mio padre e mia madre. Localismo e stagionalità sono due fattori fondamentali della nostra interpretazione della cucina. Ad esempio in questa stagione dell’anno serviamo i cardi gobbi, il radicchio ed i cavoli, mentre quest’estate c’erano melanzane, i pomodori cuori di bue e le insalatine dell’orto. Questa è la nostra filosofia ed il nostro modo di lavorare, non solo da adesso che è di moda, ma da sempre.
D) Ha citato spesso i suoi genitori. Quali sono gli insegnamenti più importanti che le hanno tramandato a livello professionale e umano?
R) Sicuramente gli “strumenti del mestiere”, come l’accoglienza, la cordialità e il concetto di qualità. Ma l’onestà è la prima cosa, anche nel lavoro.
D) La sua presenza da “Guido” a Pollenzo e a Torino la porta a doversi spostare spesso in Piemonte. Dove abita? Quali sono i luoghi e paesaggi che ama in modo particolare?
R) Io abito su un bricco ad Agliano Terme, nel cuore del Monferrato, terra di colline e di vini. Per andare a Torino attraverso tutta la Valle Tanaro, mentre poi per raggiungere Pollenzo passo nel carmagnolese… diciamo che, idealmente, sto bene nel mezzo, nel Roero.
D) L’enogastronomia in Italia rappresenta una strategia vincente per il territorio e attrae sempre più turisti, anche dall’estero. Le faccio una domanda banale: che cosa, secondo lei, gli stranieri amano di più della nostra cucina?
R) La concentrazione attuale di ristoranti e alberghi, quindi di ospitalità, è molto forte, e lo stesso si può dire per la qualità dei vini e dei prodotti, mai così valorizzata negli ultimi quarant’anni. Cosa piace agli stranieri della nostra cucina? A parte il traino importante rappresentato dal tartufo – una carta sicuramente vincente, ma che bisognerebbe forse tutelare per far sì che non diventi l’unica risorsa di punta – ad attirare l’estero è un po’ tutta la cucina. Quella piemontese, ad esempio, è una cucina con radici molto profonde. Come tipologie di prodotti e possibilità di variare e di declinare la qualità, in tutte le diverse stagioni, non ha eguali a mio avviso. E’ veramente molto varia: già solo dal nord al sud della regione le ricette cambiano completamente. Ha sia una parte nobile, che è stata portata dalla corte reale, sia una componente popolare, tutti aspetti che la arricchiscono di ricette e sapori. La varietà è un importantissimo elemento da giocare, che poche regioni, come ad esempio l’Emilia Romagna, eccellenza assoluta a livello mondiale, possono vantare oltre al Piemonte. Poi la ricchezza del territorio e delle materie prime di altissima qualità: questi due elementi, insieme, sono secondo me fondamentali per vincere la sfida del turismo enogastronomico.
Sabrina Belgero