In libreria a febbraio i “Giardini di carta” degli scrittori, da Rousseau a Modiano
Glicine, rosa, caprifoglio, menta, timo, fragole: il giardino è un mondo di rumori, odori, un concentrato di vita. Esplorandone le origini e la diversità scopriamo che i giardini sono il riflesso delle società e degli individui, e che ogni giardino ci dà informazioni sui sogni, sull’ideale di felicità di chi lo crea e lo descrive, uno specchio della cultura che lo ha prodotto. Reali, ornamentali o urbani, familiari, botanici, i giardini sono al contempo luogo di azione e di riflessione. E i giardini degli scrittori non sono da meno. Évelyne Bloch-Dano, in “Giardini di carta” (Add Editore, 288 pp., 16 euro, in uscita a fine febbraio), ci accompagna tra le pagine di Rousseau, George Sand, Stendhal e Flaubert, Balzac, Hugo e Zola, Proust, Gide, Colette, Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre, Marguerite Duras, Modiano e Christian Bobin. Alcuni sono stati veri giardinieri, altri non hanno avuto alcuna esperienza; alcuni erano appassionati di botanica, per altri invece è il verde pubblico a essere fonte di ispirazione per il proprio giardino di carta. Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo un estratto dell’introduzione, dal titolo «J’ai descendu dans mon jardin…»…
La scelta degli scrittori che ho fatto per il libro è, naturalmente, personale, soggettiva e limitata alla Francia. Avrei voluto attingere ai ricordi di Karen Blixen, Edith Wharton o Vita Sackville-West. Soprattutto a quelli di Vita, i cui giardini di Sissinghurt – tra gli altri, il famoso White Garden – sono la testimonianza di un’autentica passione e di un’abilità condivise dal marito Harold Nicholson e ben superiori a quelle della maggior parte degli scrittori. Per anni tenne sull’«Observer» una rubrica in cui dispensava consigli illuminati e ironici in formule come: «Il vero giardiniere deve essere spietato e saper immaginare il futuro». Adoro consultare quegli scritti come se fossero un almanacco, e non c’è niente di più delizioso della sua lista di nurseries inglesi, vivai quasi completamente scomparsi. Mi sono però attenuta ai romanzieri francesi, scegliendo alcuni grandi prosatori il cui giardino rappresenta una dimensione essenziale dell’opera.
Certo, era già presente nella letteratura cortese e nel preziosismo. Come il «giardino fiorito» al margine della foresta che si intravede dal padiglione in cui il duca di Nemours ascolta la confessione di Madame de Clèves al marito e poi, dalla finestra illuminata, spia la Bella che contempla il suo ritratto annodando nastri intorno a un bastone. Da un lato i viali ordinati del parco in cui la principessa passeggia con il marito, dall’altro il giardino fiorito circondato da palizzate e la foresta che ricorda un racconto di fate, luoghi oscuri del desiderio…
Allora perché cominciare con Jean-Jacques Rousseau? Perché nella letteratura francese è stato il primo a trasformare il giardino in un rifugio e nello specchio dei sentimenti privati. Dalle Charmettes di Madame de Warens all’Eliseo di Julie,Rousseau intreccia ricordi idealizzati e ideale romanzato. Le Memorie d’oltretomba di Chateaubriand si aprono con l’appassionata evocazione del suo giardino di Châtenay. Deglialberi piantati in ricordo dei viaggi, scrive: «Sono la mia famiglia, non ne ho un’altra, spero di morire circondato da essi».
Buona parte degli scrittori del XIX secolo si è ispirata a Rousseau, a cominciare ovviamente da George Sand e dalle scene d’amore in giardino che ritornano in Stendhal e Flaubert, Balzac, Hugo e Zola. Per la prima parte del XX secolo si impongono MarcelProust, André Gide, Colette, Simone de Beauvoir e paradossalmente Jean-Paul Sartre, l’uomo che odiava gli alberi. La scelta diventa più complicata quando ci avviciniamo alla nostra epoca: Marguerite Duras, Patrick Modiano e Christian Bobin. I loro giardini si radicano nell’immaginario, si nutrono dei loro sogni, si sviluppano in uno spazio vagheggiato o poetico spesso legato all’infanzia. Ho voluto far precedere questi racconti da un rapido excursus nella storia dei giardini per esplorarne le origini e la diversità. Gettare un ponte tra giardini reali e giardini immaginari permette di capire meglio gli uni e gli altri.
In questo caso era impossibile limitarsi alla Francia, perché le influenze sono state molteplici: un humus che si è arricchito dell’apporto di terre lontane nello spazio e nel tempo. Ho tenuto traccia di quelli che consideravo più importanti. Il testo fondatore della nostra cultura è senza dubbio quello biblico del Giardino dell’Eden. Ne esistono infinite interpretazioni; è da lìche deriva la nostra concezione del giardino. Profondamente legati agli eventi, alle conquiste, all’arte,alla cultura, alle scienze, alla sensibilità, alla sociologia, all’antropologia, alla tecnica, alla simbologia, ai miti, alla storia delgusto e all’estetica, i giardini sono il riflesso delle società e degli individui. Ma ci dicono molto anche su coloro che li contemplano: oggi non si guarda un giardino alla francese come si faceva nel XIX secolo, per esempio. E che dire dei pittori? Ogni giardino, per quanto modesto, ci dà informazioni sui sogni, sull’ideale di felicità, sull’utopia di chi lo crea e lo descrive, sulla società che lo genera. Il giardino è un ponte prodotto dall’immaginario ed è anche per questo che ha un ruolo importante nel romanzo. Pensiamo ai libri della contessa di Ségur… I giardini delle Ragazze modello erano uno strumento pedagogico e al contempo un luogo di libertà. Quanto li ho sognati, quand’ero piccola! Era lì che Camille e Madeleine imparavano la responsabilità, il senso della proprietà, la soddisfazione di un lavoro ben fatto, il piacere di assaporare e di condividere. Nel grande parco delle Vacances costruivano capanne insieme ai cugini, si inseguivano, facevano merenda sull’erba, giocavano, si nascondevano. Il giardino autorizza la spensieratezza dell’infanzia e permette di imparare che cosa sia la vita adulta. Dall’immensa proprietà dei Rostop nei pressi di Mosca al castello di Nouettes nell’Orne, Sophie de Ségur apprese gli insegnamenti della giovinezza sotto la bacchetta di una madre ferocemente rousseauiana e in seguito sperimentò l’amarezza di un’esistenza emicranica da moglie tradita. La sua salvezza fu scrivere per i nipoti ospiti nella sua proprietà.
Se alcuni tra gli scrittori che ho scelto sono stati veri e propri giardinieri che non hanno esitato a maneggiare la vanga e il piantatoio – come George Sand, André Gide o, in misura minore, Colette –, altri non hanno avuto alcuna esperienza, come Marcel Proust o Honoré de Balzac. Qualcuno era appassionato di botanica, come Jean-JacquesRousseau, George Sand o André Gide; per i cittadini come Jean-Paul Sartre e Patrick Modiano è invece il giardino pubblico a essere fonte di ispirazione. Tutti hanno fatto del proprio giardino di parole, ispirato o meno alla vita reale, un microcosmo della loro opera e del loro stile. Quello spazio circoscritto, spesso evocato come il prolungamento della casa, dentro e fuori, si inserisce nel paesaggio mentale che si apre intorno a esso. Che sia una semplice cornice descrittiva o intimamente legato al senso profondo del testoe alle dinamiche che lo animano, ci svela l’immaginario delloscrittore e la forma peculiare della sua arte. Come in un giardino giapponese, è l’essenza stessa del suo universo che si diffonde pagina dopo pagina.
Passeggiate in questo libro in piena libertà, come in un parco. Imboccate un sentiero, evitatene un altro, fermatevi, tornate sui vostri passi, respirate il profumo di una metafora o vagabondate nei vostri ricordi intorno alla curva di una frase. E soprattutto coltivate anche voi il vostro giardino, in terra, in vaso, nei sogni o nelle parole…
Évelyne Bloch-Dano*
* Évelyne Bloch-Dano ha scritto, tra gli altri libri, diverse biografie di donne: Madame Zola, Flora Tristan,La signora Proust (Il melangolo, 2006), George Sand. I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue. È membro della giuria del Prix Fémina e del Prix François Mauriac.