In difesa di Cisternino. Ambientalisti e devoti del maestro Babaji contro inquinamento e opere inutili
Che Cisternino fosse un luogo magico lo dicevano anche i maya, secondo la cui profezia questo punto tra Ostuni e Martina Franca, in piena Valle d’Itria, sarebbe stato uno dei pochi luoghi al mondo dove mettersi al riparo dalla “fine” – o meglio per il passaggio a una nuova era – del 21 dicembre 2012.
E saranno i trulli, saranno gli ulivi o tutti questi muretti a secco che accostano le strade, ma si respira davvero un’aria diversa da queste parti. Qui, dove i devoti di Babaji, lo yogi immortale, si sono insediati e hanno fondato un ashram e un tempio per portare avanti i messaggi del maestro. “Il cambiamento del presente, che è pieno di disordine – è uno dei suoi insegnamenti nell’apparizione del luglio 1979 – avverrà attraverso una sanguinosa Rivoluzione. La Pace tornerà solo dopo che la Rivoluzione avrà raggiunto il suo zenith. La conseguenza di questa Rivoluzione, sarà che nessuna nazione verrà risparmiata, piccola o grande. Alcuni paesi saranno totalmente distrutti senza lasciare traccia della loro esistenza. La distruzione avverrà con terremoti, inondazioni, incidenti, scontri e guerre”. Ma, sempre secondo quanto avrebbe detto il maestro indiano, “Cisternino diventerà un’isola”.
Per questo la popolazione del luogo, natia o acquisita, è assolutamente convinta che questo luogo magico, ricco di tradizioni e culti, denso di significati simbolici (per persone più o meno credenti) sia da proteggere, forse più di altri.
Oggi sono due le petizioni lanciate on line, dagli abitanti della vallata, in difesa del territorio . L’appello pubblicato il 22 dicembre 2013, che ad oggi ha raccolto 563 firme, chiede alla Regione Puglia di “modificare la politica locale verso una direzione di salvaguardia dell’ambiente e di tutela della salute dei cittadini (di campagna), sempre più numerosi, a rischio, che cercano di convertire le terre a biologico e vivere in armonia con la natura, lavorando anche a favore di un turismo consapevole”. Le falde acquifere e l’aria si inquinano, la terra si impoverisce a causa dei diserbanti e si sporca del piombo lasciato dai cacciatori, il tasso dei malati di cancro nella zona di Ceglie Messapica è aumentato, l’olio ha perso qualità: per questo, insieme, si chiede di incentivare il cambiamento intelligente e di valorizzare le iniziative sostenibili.
Altro punto dolente (e più caldo) è quello denunciato dalla seconda petizione, lanciata contro il Comune e la Regione dal Comitato Salvaguardia Ambiente e Territorio Cisternino, che per dire NO allo Stradone dei Colli ha organizzato una manifestazione a difesa dell’ambiente per domenica 27 aprile. Tra i primi ad aderire un gruppo piuttosto eterogeneo di associazioni, da ANCI Bari, Associazione Carabinieri in Congedo e Gruppo Protezione Civile a Terra Libera dai Veleni, WWF Puglia, Associazione Salviamo il Paesaggio, Macrohabitat. Un urlo corale perché la nuova strada tra Ostuni e Cisternino non venga realizzata, in quanto “inutile, dannosa e antieconomica”.
L’intervento che l’amministrazione vuole realizzare riprende un vecchio progetto del 2009 – bloccato poi dal TAR nel 2011 – che prevedeva il completamento della SP18 fino a Laureto di Fasano, punto considerato “strategico” (la parola magica con cui in Italia si cerca di far approvare qualsiasi opera di dubbia utilità). L’attuale progetto ha tagliato questo collegamento, ripensandone uno nuovo tra Cisternino e Ostuni, già perfettamente collegate dalla SP17.
Ma la variante consegnata il 5 dicembre scorso è considerata dal Comitato assolutamente inutile e dannosa per l’ambiente, vista la larghezza ingiustificata della strada (8,5 metri di asfalto, che con i laterali arriva a 11 metri), a causa dell’importante intervento di scavo necessario per la realizzazione, di almeno 15 m, e la devastazione di interi boschi di alberi secolari come fragni, lecci, fichi e 500 ulivi (di cui 21 sono considerati monumentali e che quindi dovranno essere trapiantati e curati). La realizzazione della strada comporta la distruzione di chilometri dei tipici muretti a secco e l’occupazione per il cantiere di 6 ettari di una splendida area archeologica. Tutto questo oltre al grave danno “sul piano economico, ambientale e della salute per le piccole aziende agricole e turistiche e le abitazioni situate in tutta l’area”.
Il Comitato “chiede perciò alle amministrazioni pubbliche di non procedere con questo progetto limitandosi, ove necessario, a migliorare lo stato delle strade esistenti e proporre alla Regione Puglia di poter destinare il finanziamento anche al miglioramento della viabilità e alla manutenzione in tutto il territorio comunale. In subordine si invitano le amministrazioni a prendere in esame valide alternative urbanistiche per ridurre il disastroso impatto ambientale e sociale provocato da uno stradone a doppio senso”. Ed è del 13 marzo la proposta consegnata al sindaco per la costituzione di un tavolo di concertazione per la progettazione partecipata di sviluppo dell’area e “si chiede infine che tutti gli abitanti delle zone interessate, e chiunque ne faccia richiesta, vengano tempestivamente e regolarmente informati sulle decisioni assunte e loro eventuali modifiche, nonché sui tracciati definitivi e lo stato dei lavori”.
Un territorio, dunque, che chiede di essere difeso e valorizzato. Un territorio in cui il senso di appartenenza risulta essere uno dei punti di forza principali. “L‘Ecomuseo della Valle d’Itria – si legge sul sito – vuole essere un museo diffuso che si propone di documentare, conservare e valorizzare i tanti siti naturali e le numerose manifestazioni della cultura materiale e immateriale (trulli, iazzi, muretti a secco, tratturi, pozzi, lavatoi, ma anche pratiche di vita e di lavoro, saperi tradizionali, produzioni locali) che in Valle d’Itria costituiscono un vero e proprio sistema. (…) Ciò significa che il territorio non è fatto di soli ambienti, con le loro componenti biotiche e abiotiche, ma ingloba pure la storia degli uomini e delle donne che vi hanno abitato e lavorato nel passato (e che continuano a farlo) e le tracce che l’hanno segnato”.
E per raccontare la vera identità del luogo, l’Ecomuseo (con il coordinamento del Laboratorio di Urbanistica Partecipata e il supporto operativo del Centro di Ricerca Basile-Caramia) si fa chiave di lettura, oltre l’aspetto strettamente geografico o paesaggistico, e diventa veicolo di valorizzazione del patrimonio ambientale, culturale e antropologico del territorio. Ne sono un esempio grandioso le Mappe di Comunità, rappresentazioni frutto di un processo partecipato, che coinvolge gli abitanti attraverso il riconoscimento dei valori tipici del luogo che abitano. Le mappe di comunità sono quindi “sistemi di narrazione e visualizzazione delle relazioni tra persone e luoghi”. Il loro obiettivo è di mettere in evidenza la ricchezza del patrimonio locale, sia materiale che immateriale, facendolo emergere un “archivio permanente” e continuamente aggiornabile della memoria storica dei luoghi, fatti non più solo dallo spazio geofisico, ma dall’insieme di pratiche di vita, di tradizioni, di saperi tramandati.
Alfonsa Sabatino