Il teatro “a lunga scadenza” degli Instabili Vaganti, che portano in scena nel mondo il dramma Ilva
Lei è nata a Taranto nel 1976, laureata al DAMS, specializzata all’Accademia delle Belle Arti di Bologna in didattica dell’Arte, si diploma all’Accademia d’Arte Drammatica dell’Antoniano di Bologna. Lui è nato a Novara nel 1977, laurea al Dams dove consegue il titolo di Master in Imprenditoria dello spettacolo, si diploma alla scuola di Nouveau Cirque di Bologna e di Circo contemporaneo di Torino. Lei si chiama Anna Doro Dorno, lui Nicola Pianzola ed insieme sono gli “Instabili Vaganti“. La compagnia teatrale fondata a Bologna nel 2004. L’inizio di una ricerca quotidiana sull’arte dell’attore. del performer e sulla sperimentazione dei linguaggi contemporanei attraverso collaborazioni artistiche con musicisti, video-maker e artisti visivi. Nel 2005 il primo spettacolo della compagnia ”Avan-Lulu” vince il Premio speciale della giuria all’International Theatre and Visual Arts Festival Zdarzenia in Polonia. Negli anni successivi la proiezione diventa quindi sempre più internazionale, con collaborazioni in diversi paesi del mondo. Ma uno dei progetti più importanti resta “MADE IN ILVA“, lo spettacolo che hanno portato in tutto il mondo, e che da ottobre (fino ai primi di dicembre) è in tour – per la seconda volta – in America Latina. Li abbiamo incontrati allo Scriba Festival di Bologna dove hanno offerto una lezione sul mestiere di scrivere per il teatro…
D) Non possiamo che iniziare la conversazione da “MADE IN ILVA“, un dramma ambientale – purtroppo non ancora superato dalla città – dove convergono anche elementi biografici. Vero Anna?
Anna) Sì, sono nata a Taranto e vissuta per i miei primi 20 anni in un paese molto vicino, a soli 5 chilometri. Vedevo l’Ilva, una sorta di mostro dove molti miei conoscenti e parenti hanno lavorato – e lavorano tuttora in fabbrica. Il tema mi tocca da vicino e poi abbiamo iniziato ad occuparci del rapporto tra organicità ed inorganicità, dei ritmi di produzione nel mondo contemporaneo e nel mondo del lavoro calato all’interno del contesto della fabbrica. Molti ragazzi della mia età ci hanno lavorato o ci lavorano quindi i racconti che sentivo da loro hanno influenzato la mia visione. La macchina che si mangia l’uomo, una concezione del lavoro che appartiene al passato ed è assurdo che continui a sopravvivere ancora… Un fantasma di capitalismo industriale che è anacronistico per il nostro paese e produce tutta una serie di conseguenze negative, a partire da condizioni di lavoro che non possono essere più accettate.
D) Un “teatro di denuncia” dunque, che per voi ha però una valenza più ampia, giusto?
Nicola) Per me l’attore è un essere umano privilegiato che si assume la responsabilità di essere portavoce. Un onore. Rielabora la sofferenza che restituisce sotto forma artistica. E’ il rappresentante di una comunità…
Anna) Abbiamo lavorato sulla forma artistica, non ci siamo limitati a utilizzare dei testi e delle testimonianze. Non si tratta solo dell’esposizione di dati, che possiamo vedere ovunque, che sono accessibili a tutti (nonostante la gran parte delle persone non li conosca). A noi interessava calarci all’interno di una situazione e di una condizione umana: cosa accade al singolo lavoratore e a tutti quelli che vivono il problema Ilva? Questa è stata la domanda di partenza.
D) Una vicenda molto locale, che avete reso globale e fatto viaggiare in tutto il mondo. Il pubblico straniero come ha reagito?
R) Il messaggio è universale e viene interpretato anche in altri contesti, una vicenda di chiunque in ogni parte del mondo. Abbiamo fatto varie tournée internazionali e visto che lo spettatore è vicino alla storia, ci vede un riflesso personale trasfigurato nella vita quotidiana perché è un sistema di lavoro che si ritrova anche in ufficio. Un rapporto che noi definiamo inorganico.
D) L’ambiente spesso viene contrapposto al lavoro, come se per portare il pane in tavola si dovesse accettare, per forza, di inquinare…Possibile che non si esca da questa visione assurda?
Anna) A Taranto si vive un dissidio profondo: parte della popolazione ha interesse a mantenere il posto di lavoro. Ma le ripercussioni sulla salute sono così gravi che questo dissidio è vivo anche tra chi ci lavora. Mancano però proposte alternative…
Nicola) Mi ha colpito a Taranto un ex lavoratore che mi ha detto “hai riassunto in 55 minuti i miei 35 anni di lavoro“. Questo è il risultato di aver lavorato molto per incorporare sensazioni, incubi, suoni che rimangono nella mente: abbiamo incorporato le loro sensazioni. La volontà è quella di fare da tramite con la comunità artistica e culturale internazionale.
D) Lo spettacolo oltre il riconoscimento del pubblico ha avuto infatti quello della critica, a livello mondiale…
R) Ci abbiamo lavorato già nel 2008, prima del 2012, quando il fenomeno è scoppiato. Ad Edimburgo, al Festival di teatro più importante al mondo, il lavoro ha ricevuto una nomination importante che ha fatto rimbalzare il caso a livello internazionale. Un riconoscimento per tutti i contenuti dello spettacolo, compresa la forma ed il linguaggio fisico.
D) Ma qual è il vostro rapporto con l’ambiente, nella vita quotidiana?
R) 10 anni fa abbiamo fatto una scelta di vita e deciso di vivere lontano dalla città, in mezzo alla natura, in una riserva naturale nell’Appenino. Viviamo una dicotomia: integrati in un ambiente naturale, con il nostro lavoro quotidiano alla periferia di Bologna, in zona Barca, e poi attraversiamo megalopoli giganti come Shanghai (da cui sono tornato ieri). Vedo l’inquinamento e lo respiro. Nella vita quotidiana ci riscaldiamo con la legna, abbiamo un bosco e un campo da curare, anche se i tempi che ci impone la vita contemporanea vanno contro questa scelta…
D) Il vostro contributo civile è, in fondo, anche questo spettacolo…
R) Sì, lo abbiamo portato in India e lì gli operai nelle cokerie sono in ciabatte, in Cina abbiamo superato la censura perché parlavamo di un problema italiano. Il tema resiste negli anni, a lunga conservazione, perché lo facciamo rivivere grazie al forte interesse che suscita ed è contro il sistema basato sulla “breve scadenza”…
Gian Basilio Nieddu