Il Ministro Catania a Bruxelles per la questione delle spadare
“L’incontro con il Commissario Damanaki è stato particolarmente positivo in quanto ci ha consentito di mettere in evidenza le principali questioni riguardanti la riforma della Politica Comune della Pesca”. Così ha esordito il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Mario Catania, al termine dell’incontro con il Commissario Europeo per la Pesca e gli Affari Marittimi, Maria Damanaki, che si è tenuto presso la sede della Commissione Europea, lo scorso 9 Gennaio.
L’incontro si è svolto nell’ambito della più ampia discussione relativa alla riforma della Politica Comune della Pesca (PCP) che, parallelamente a quella della Politica Agricola Comune (PAC), dovrà prendere forma nel 2013. Il settore ittico europeo infatti non sta attraversando un momento felice: la crescente dipendenza dell’UE dal pesce proveniente da acque non-europee ha spinto l’Unione a prendere provvedimenti. A questo proposito, già nel 2009 è stato pubblicato, dalla Commissione Europea, il Green Paper con gli obiettivi che l’Unione si prefigge di raggiungere. Essenzialmente l’UE vuole che i produttori europei giochino un ruolo maggiore nell’approvvigionamento di prodotti ittici nei mercati europei, ma cerca anche un equilibrio tra le capacità dei pescherecci e le risorse disponibili, per contrastare la pesca selvaggia che ha impoverito i nostri mari.
In merito all’incontro con la commissaria Damanaki, inoltre, il ministro Catania ha aggiunto: “ho evidenziato al Commissario la necessità di confermare alcune misure fondamentali per la tutela degli stock ittici e del settore della pesca italiana quali il fermo biologico, che ho chiesto di rifinanziare con fondi comunitari, e le misure riguardanti la rottamazione, delle quali comprendo la conclusione ma per le quali credo sia utile un periodo di phasing out. Ho espresso inoltre la mia fiducia al Commissario, la cui proposta di riforma della Politica Comune della Pesca è sostenuta, per le sue linee generali, dall’Italia, purché tenga conto delle richieste del nostro Paese e delle specificità della pesca del Mediterraneo”.
L’incontro, dunque, non poteva non concentrarsi su un tema importante per l’Italia (e per la salvaguardia della pesca nel Mediterraneo), come quello delle “reti derivanti“. Catania ha affermato infatti che “la situazione, così com’è, non va bene, porta solo alla continuazione della pesca illegale: dobbiamo andare verso una riforma comunitaria che assicuri più efficacia e trasparenza”.
Ma che cosa sono le reti derivanti? E qual è la posizione dell’Europa e dell’Italia in merito?
In Italia le reti derivanti sono più comunemente chiamate spadare. Possono arrivare a lunghezze di decine di chilometri e sono nate originariamente per la pesca del pesce spada (da cui deriva il nome). Inoltre, non sono ancorate al fondale e costituiscono dei veri e propri muri in fondo al mare, in cui restano intrappolate anche numerose specie protette, quali cetacei, squali o tartarughe marine. Proprio per questo motivo, l’Unione Europea nel 1992 aveva imposto una lunghezza massima di 2,5 chilometri, per arrivare, nel 1997, a chiederne il bando totale entro il 1° gennaio 2002, consentendo solo la pesca all’amo con le reti “palangare”. Tra l’altro a questa risoluzione, tra il 1999 e il 2002, fece seguito lo stanziamento di circa 200 milioni di euro di fondi pubblici per la dismissione e la riconversione delle spadare italiane.
In Italia, tuttavia, la cattura di tonni e pesci spada con le reti derivanti è continuata (come documentato da Report nel 2009), anche perché era consentito ai pescherecci “l’uso multiplo di attrezzi da pesca”. In questo modo, in caso d’ispezione, i pescatori potevano affermare di aver catturato tonni e pesci spada all’amo, anche quando avevano usato illegalmente le reti derivanti.
A seguito di questa condotta, non certo esemplare, del nostro Paese, lo scorso 29 settembre la Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, lamentando il mancato adeguamento ad una precedente sentenza della Corte di Giustizia Europea, datata 29 ottobre 2009, dove si era evidenziato come l’Italia avesse omesso di “controllare e sorvegliare in modo soddisfacente, sul suo territorio e nelle acque dove esercita la sua sovranità e la sua giurisdizione, le disposizioni che vietano ai pescherecci di avere a bordo o di utilizzare reti derivanti”.
La situazione è alquanto complicata, anche perchè tutti i provvedimenti presi fino ad ora non hanno portato a risultati soddisfacenti. Il ministro Catania, per tagliare la testa al toro, ha proposto dunque a Bruxelles una messa al bando totale delle delle reti derivanti anche più corte di 2,5 km, come le ferrettare, eliminando del tutto l’eccezione che ne consente un uso limitato. Catania auspica un provvedimento comunitario, in quanto un divieto solamente nazionale sarebbe di difficile applicazione, ma soprattutto rischierebbe di essere inefficace e iniquo, perché i pescherecci spagnoli e francesi che attraversano il Mediterraneo non ne sarebbero toccati.
Donatella Scatamacchia