I pomodori dei “1200”
Ricordo e voglio ricordare mia nonna, già vecchia ma più giovane di quindici anni dopo. Me la voglio ricordare nel suo giardino, il giorno in cui, guardandosi attorno, mi disse che voleva piantare i pomodori. La sua bocca si era aperta in un sorriso da bambina e mi aveva presa per mano, dopo aver reso nota a tutti quell’idea strampalata. Mi aveva presa per mano e portata in una zona nel verde, avevamo passato la parte in cui crescevano le rose e anche quella dei lamponi, per arrivare in un angolo, vuoto ed incolto. Mi aveva indicato quella terra secca e mi aveva detto che lì avremmo piantato i pomodori. Avevo guardato quello spazio, all’estremità dell’orto fatto in casa. Me li ero immaginata, rubicondi e tondi, già pronti per essere raccolti e mangiati in insalata.
-Quanto ci mettono nonna a spuntare i pomodori qui in mezzo alle montagne? Riusciamo a mangiarli domani, a pranzo?
-Devi lasciare alla pianta il tempo per crescere, come noi esseri umani, maturiamo lenti.
-Maturiamo anche noi? Chi ci viene a raccogliere?
Mia nonna sorrise e mi lasciò una carezza sulla guancia.
Due ore dopo eravamo in tenuta da giardinaggio. Mia nonna: il grembiule a fiori, gli stivali di gomma, verdi. Io mi ero infilata la tuta da ginnastica e i guanti coi pallini gommati sul palmo, quelli professionali, mi stavano enormi, ma mi sentivo un’esperta. Il giorno prima nonna aveva comprato delle piante con un cartellino attaccato ad un ramo, Solanum lycopersicum, doveva essere il nome d’arte di quelle piante, erano già alte come me. Piantare pomodori a 1200 metri d’altitudine. Io la amavo e sentivo che se fosse riuscita a fare quello, con tutti contro, sarebbe stata un’eroina più forte di Sailor Moon.
Aveva infilato anche lei i guanti coi gommini sul palmo. Aveva preso la vanga e io avevo appoggiato le mani sopra la manopola per cercare di aiutarla. Abbiamo fatto un buco nella terra, per affondare una delle piante, dopo aver tolto il vaso di plastica che ne conteneva le radici. Nonna aveva spinto con gli stivali la vanga per farla affondare al meglio. Tutta la forza impiegata, mi rendo conto ora, era la sua. Tuttavia in quel momento mi sembrava di essere essenziale nel lavoro. Abbiamo adagiato le radici delle piante nei fossi, ricoprendoli di terra nuova fino all’orlo, fino a dove iniziava il verde dei primi rami, carichi di foglie. Erano belle e ordinate, le piante di pomodori, nel nostro orto fatto in casa. Era luglio.
Ogni giorno andavamo a guardarle. Tutto taceva. Ad ogni tramonto le irrigavamo. Fino al giorno in cui sono spuntati, due, verdi, piccoli, sembravano olive.
Nonna mi ha detto di avere pazienza, che col tempo sarebbero diventati più grandi e purpurei.
Certi ricordi ti si appiccicano addosso, non puoi farci nulla, li vedi nitidi davanti a te. Ad esempio il ricordo di quelle piante, il giorno in cui siamo andate a vederle e c’erano i due pomodori paonazzi e invitanti. Li abbiamo raccolti. Sembravamo due bambine. Io lo ero, lei lo era ritornata. Da quel momento ogni anno, abbiamo piantato pomodori a 1200 metri di altitudine, insieme e sempre fiduciose. Ora mangio i pomodori verdi del suo giardino, li ho conservati, li mangio stasera. Penso a lei. Che idea stramba coltivare pomodori in alta montagna. Questi sono gli ultimi della pianta, non hanno avuto tempo di maturare. Lei non ha avuto il tempo di vederli, gli ultimi. Non coltiverò più pomodori. Sono verdi, ma a me sembrano buonissimi. Hanno il gusto della speranza di far crescere pomodori lassù. Rivedo i suoi occhi che gioiscono, i suoi denti che si aprono in un sorriso, senza vergogna. Mangio i pomodori verdi, aspri e penso a lei, vicina a me. Era una bambina che guardava tutto per la prima volta, ma con gli occhi di un’anziana, gli occhi stanchi per il tempo passato.
Ieri sono andata al mercato. Mi sono avvicinata ad una bancarella di frutta e verdura.
-Quanto vengono i pomodori?
-40 centesimi al chilo.
-Prendo tre pomodori.
Sono tornata a casa, ne ho spaccato a metà uno. Bianco. Ma i pomodori non sono rossi? Ne ho assaggiato un pezzo, annaffiato d’olio. Nessun profumo. Nessun sapore. Forse non erano pomodori coltivati a 1200 metri d’altitudine da un guanto coi pallini di gomma. Con l’ardore dell’impresa impossibile e l’affetto di sessant’anni di differenza che lavorano insieme.
Stephania Giacobone