Hymo Cares: parte da Bolzano il progetto europeo per rinaturalizzare i fiumi
Fiumi soffocati dal cemento, stretti tra autostrade e insediamenti industriali, violentati da decenni di attività estrattive senza limiti e con una sempre minore biodiversità. Non stanno tanto bene i nostri corsi d’acqua, vittime di una concezione dello sviluppo illimitato e senza attenzione per le ricadute ecologiche delle attività umane. Non solo quelle industriali, ma pure quelle turistiche ed agricole. Non sono bastate le due Direttive dell’Unione Europea – la direttiva quadro acque 2000/60 e la direttiva alluvioni 2007/60 - che mirano alla tutela dello stato naturale delle acque e alla mitigazione dei rischi idraulici, ovvero esondazioni e inondazioni che negli ultimi anni hanno flagellato campagne e centri abitati.
Eppur, qualcosa, si muove. Sono diverse le azioni che hanno (ri)portato la vita nei nostri fiumi con una diminuzione delle fonti di inquinamento grazie a una gestione sostenibile dei corsi d’acqua. Modelli da studiare e replicare con interventi pilota. Questo l’obiettivo del progetto Hymo Cares che vede insieme 13 enti distribuiti in sei diversi Paesi europei.
Uno dei protagonisti del piano, cofinanziato dal Programma Interreg Spazio Alpino, è il CIRF che sta per Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale. “Ci sono le due direttive europee, ma l’applicazione concreta sul territorio spesso si scontra con la mancanza di modelli operativi condivisi. Abbiamo un’incoerenza tra scala nazionale e locale” spiega il direttore del centro Andrea Goltara che denuncia “la persistenza di alcuni falsi miti come la gestione dei sedimenti. Non vanno eliminati, anzi. I fiumi non sono solo acqua che scorre ma anche sedimenti trasportati e questi, gestiti in modo più naturale e riducendo alterazioni e discontinuità, rappresentino una risorsa importante in grado di garantire preziosi servizi eco sistemici, quali la mitigazione del rischio idrogeologico, la ricarica delle falde, il mantenimento di paesaggio e la biodiversità“.
C’è da rispettare la dinamica naturale dei fiumi. “Il progetto cerca una soluzione per trovare un equilibrio tra esigenze economiche ed ecologiche. I corsi d’acqua si possono gestire in modo adeguato solo con uno sguardo ampio che abbraccia l’intero bacino – sottolinea Goltara – Faccio un esempio concreto: se costruisco una diga si vedono gli effetti a valle solo dopo un decennio. L’abbassamento dell’alveo può essere il risultato della costruzione di impianti, di dighe che hanno alterato la dinamica del fiume. I danni che si creano con una gestione non sostenibile sono ecologici ma pure economici“. Serve una pedagogia degli interventi più adeguati.
In concreto il programma tende a far incontrare mondo scientifico e mondo politico-tecnico-amministrativo con i privati. “Pensiamo ai gestori degli impianti idroelettrici che hanno l’obbligo di gestire i sedimenti, ma non sanno come farlo nella pratica. Vogliamo sperimentare delle modalità di gestione attraverso il confronto tra esperti di diversi Paesi, grazie alle esperienze dei territori che hanno gestito in modo sostenibile i corsi d’acqua”.
Le buone pratiche non si trovano solo oltre i confini nazionali, ne abbiamo numerose anche in casa. C’è un grande capitale di esperienze, tutto da valorizzare, ad esempio, a Bolzano. La Provincia Autonoma è all’avanguardia nella sperimentazione concreta. Ne abbiamo parlato con Nicola Marangoni, che ci ha illustrato uno dei casi modello. Quello del torrente Aurino, che scorre nella nella Valle Aurina e dove “dal 2003, sono stati portati avanti alcuni interventi di riqualificazione per 16 km lineari. Uno dei più validi esempi di valorizzazione ecologica a livello nazionale e internazionale attraverso un approccio interdisciplinare“. Competenze diverse messe sul tavolo per un piano di gestione integrale.
Alcuni tratti del torrente fino agli anni ’70 erano sottoposti ad un’intesa attività estrattiva, con il prelievo di materiale ghiaioso. Dal 2003 via ai lavori attraverso “l’allargamento dell’alveo, l’abbassamento delle sponde e la riattivazione di rami laterali dismessi, l’innalzamento del fondo (compromesso da attività estrattiva) e costruzione di rampe con massi ciclopici”. Un intervento corposo, come spiega l’esperto: “Queste opere sono state orientate a modificare sezioni e profili in maniera irregolare in modo da ricreare sulle sponde e in alveo gli habitat idonei all’avi fauna. Si sono usati massi ciclopici e tronchi di legno morto ancorati al fondo per ricreare delle nicchie per anfibi e pesci”. La vita che ritorna, grazie a competenza e buon senso ecologico.
Gian Basilio Nieddu