Fornace Carena: solo mattoni naturali a “km. 0″ per rilanciare l’edilizia
L’argilla non è una risorsa rinnovabile, ma a parte le costruzioni in legno, non esiste una valida alternativa naturale ai mattoni. Fornace Carena, produce laterizi dal 1907 a Cambiano, in provincia di Torino. Con 28 dipendenti e un fatturato di 4 milioni di euro, l’azienda ha sviluppato negli anni un’attenzione alla sostenibilità ambientale che parte dalle materie prime utilizzate e arriva fino alla riqualificazione della cava e del vecchio stabilimento, passando per un impianto fotovoltaico realizzato con un investimento di circa 2,4 milioni di euro per coprire il fabbisogno energetico aziendale.
“L’utilizzo di materie prime naturali, senza nessun additivo chimico, – spiega l’amministratore delegato Pierluigi Carena – è la nostra filosofia da vent’anni. In passato, mischiato all’argilla, abbiamo utilizzato per l’impasto anche coke di petrolio, che accelera la fusione e quindi la cottura. Ma il coke contiene zolfo, e causa le piogge acide: per questo abbiamo deciso di abbandonarlo. Tutt’ora ci sono aziende che utilizzano – perché la legge lo permette – anche fanghi di cantiere e di fonderia. Una pratica che permette di risparmiare, perché si usa meno argilla e le imprese che ti forniscono i fanghi ti pagano pure, ma noi non l’abbiamo mai fatto”.
Qualche anno fa, accanto ai mattoni tradizionali è nato BIOPOR, adatto anche alle costruzioni in bioedilizia: “Volevamo fare un mattone porizzato, ossia dotato di tante piccole cavità che ne migliorassero la performance termica. Molte fornaci usavano il polistirolo, di nuovo un derivato del petrolio che non ci convinceva. Così abbiamo scelto la farina di legno vergine, e poi la lolla di riso, di cui il nostro territorio è molto ricco”. Una scelta di filiera corta che continua anche nella commercializzazione: “Negli ultimi anni abbiamo capito che era necessario puntare sempre di più sul chilometro zero: vedevamo che i nostri migliori clienti ci apprezzavano perché ci conoscevano direttamente. Inoltre, ci sembra assurdo trasportare mattoni dal Nord al Sud Italia, visto che di solito in ogni provincia c’è una fornace. E poi, ci piace l’idea che le case di qui vengano fatte con i mattoni prodotti sul territorio usando argilla locale”.
Negli ultimi anni, nonostante la crisi dell’edilizia che ha avuto inesorabilmente ripercussioni anche sulle imprese di laterizi, Fornace Carena ha fatto un grosso investimento per dotarsi di pannelli fotovoltaici: “Tra il 2008 e il 2010 abbiamo realizzato tre impianti sul tetto dei capannoni, per un investimento totale di 2,4 milioni di euro. Oggi dal sole arriva circa il 10% dell’energia necessaria per impastare l’argilla e far girare la ventola dell’essiccatoio. E’ un investimento a lungo termine, ma ci abbiamo creduto fortemente, perché ci sembrava giusto sfruttare una fonte di energia gratuita e non inquinante”. E che può generare anche una piccola integrazione del reddito quando la domanda è più bassa e la produzione si ferma: “Nei momenti in cui non produciamo, cediamo tutta l’energia a Enel”.
Accanto alle attività produttive, Carena è anche impegnata nella gestione in chiave sostenibile della vecchia cava, riqualificata e trasformata in un parco. “Il processo è iniziato dopo l’emanazione, nel 1978, della legge regionale 69 sulle cave, che ha imposto l’obbligo di riqualificazione al momento dell’abbandono di un sito estrattivo. Abbiamo lasciato fare molto alla natura: dove prima c’erano gli scavi, si sono formati laghetti, dove è tornata una fauna prima scomparsa dal territorio. Abbiamo piantato boschetti e creato sentieri, dando vita a un’oasi selvaggia in mezzo a una campagna altamente sfruttata per le coltivazioni di mais. Oggi, per la gestione, spendiamo qualche migliaio di euro all’anno. Per visitarlo, basta prenotarsi”.
Una ventina di anni fa, nei vecchi capannoni ristrutturati è nato anche l’Ecomuseo dell’Argilla, istituito grazie a un contributo della Regione Piemonte: “Le scuole vengono spesso a visitarlo, per conoscere la storia della terracotta e vedere come lavora oggi una fornace”. E sempre qui nasce il suggestivo “Spazio Hoffmann“, destinato a ospitare eventi, come la recente serata di beneficenza “a tema” organizzata da Edilcantiere con Marco Berry: 53.334 mattoni per costruire l’ospedale per bambini Mohamed Aden Sheikh Children Teaching Hospital in Somalia.
Veronica Ulivieri